Ancora una strage nel mare di fronte a Bodrum in Turchia, E ancora una volta a morire sono bambini, che ormai sembrano essere le vittime predestinate di questo tratto di mare che separa la Turchia dalla Grecia. Un barcone con a una trentina di profughi originari di Siria, Iraq e Pakistan si è rovesciato la scorsa notte quando si trovava a 3,5 chilometri dalla costa sud occidentale della Turchia A dare l’allarme, avvertendo la guardia costiera turca, è stato l’equipaggio di un peschereccio che ha sentito le urla dei migranti caduti in mare. Nonostante l’intervento dei militari, la maggior parte dei profughi, 18, è annegate nelle acqua fredde dell’Egeo, e tra questi si contano dieci bambini e quattro donne, una delle quali incinta. Altri quattordici persone sono state tratte in salvo e portate in un ospedale di Bodrum ma undici di loro, trovati in stato di ipotermia, versano in gravi condizioni. L’intenzione dei migranti era quella di raggiungere l’isola greca di Kos, da dove poi proseguire la loro marcia verso il nord Europa.
Il naufragio della scorsa notte segue di poche ore un’altra tragedia avvenuta sempre nell’Egeo dove quattro migranti siriani, tra i quali tre bambini, sono morti mentre cercavano di raggiungere l’isola di Farmakonisi.
La situazione alla frontiera tra Grecia e Turchia resta difficile nonostante sia Ankara che Atene stiano cercando di arginare il flusso di migranti, argomento che è stato anche al centro dell’incontro avvenuto giovedì scorso a Bruxelles tra Alexis Tsipras e il premier turco Ahmet Davutoglu nel corso di un minivertice al quale hanno partecipato i paesi direttamente interessati dalla rotta balcanica. Dall’inizio del 2015 fino a oggi sono 650 mila i migranti che hanno scelto di attraversare l’Egeo per arrivare in nord Europa, de di quasi 600 hanno perso la vita, molti di quali bambini. Di fronte a questa tragedia l’Europa punta a rendere più sicure le sue frontiere esterne, nella speranza, anziché di aiutare chi fugge dalla guerra, di arginare i flussi in arrivo. In quest’ottica rientra anche la decisione presa ieri dal governo tedesco di inviare – rispondendo a una richiesta di aiuto da parte di Atene, 189 poliziotti alle frontiere greche in supporto alle forze dell’ordine elleniche. Un esodo che non si ferma neanche con il maltempo.
A pagare più di tutti questa situazione sono ovviamente i migranti. Chi ce la fa è spesso costretto ad attendere giorni prima di poter proseguire la sua marcia, e spesso in condizioni logistiche definire precarie è dir poco. Ad Atene a migliaia sono ospitati in due stadi cittadini, senza parlare di quanti sono ammassati da settimane alla frontiera con a Macedonia. Nel penultimo vertice sull’immigrazione lungo la rotta balcanica, l’Unione europea aveva deciso, proprio in vista dell’arrivo dell’inverno, di provvedere almeno a far sì che un tetto e un pasto caldo venisse assicurato a tutti i roghi in marcia, per questo era stato deciso di allestire 50 mila posti letto in Grecia, gestiti dall’Unhcr, e altri 50 mila nei paesi balcanici. Di nessuno di questi provvidenziali rifugi, però, si ha notizia.
Così come resta aperta la questione de ricollocamenti. Dalla Grecia dovrebbero partire 54 mila profughi di dividere tra gli Stati membri che per, così come avviene per l’Italia, tardano a rendere disponibili i posti per l’accoglienza.
Di 160 mila profughi di ricollocare complessivamente, finora sono stati trovati solo poco più di un migliaio di posti. Una situazione drammatica, che render bene l’idea della scarsa disponibilità ad accogliere i migranti dimostrata dalla maggioranza dei 28, e in particolare dai paesi dell’est.
Per sbloccare questa situazione di stallo così esasperante, ieri il ministro degli esteri tedesco Frank Walter Steinmeier non ha escluso un possibile ricorso alla Commissione europea o alla corte di giustizia europea contro quei paesi che non fanno la propria parte. «Se non ci sarà altra strada la questione verrà risolta con un’azione legale», ha detto Steinmeier puntando il dito verso Polonia, Ungheria e repubblica Ceca, tre paesi che hanno già detto di non avere nessuna intenzione di rispettare la ripartizione per quote decisa a settembre scorso dall’Unione europea.