I 15 paesi del Consiglio di sicurezza dell’Onu (5 permanenti, 10 a rotazione), riuniti via video, si limitano ad «attendere» che i talebani, che hanno vinto, «rispettino gli impegni» che hanno sottoscritto il 27 agosto. A poche ore dal ritiro degli statunitensi dall’Afghanistan, il Consiglio di sicurezza (ministri degli Esteri) deve piegarsi al rifiuto dei talebani e mette da parte il progetto di risoluzione franco-britannico che mirava a istituire una “safe zone”, sotto controllo Onu, per permettere di proseguire con le operazioni umanitarie di evacuazione dopo il 31 agosto (che evidentemente avrebbero cambiato natura rispetto a quello che è successo dal 15 agosto): il segretario di stato Usa, Antony Blinken, puntava sull’aeroporto di Kabul, mentre per la Francia sarebbe stato auspicabile anche «attraverso i paesi vicini».

La Germania, per esempio, sta negoziando con l’Uzbekistan per prolungare le possibilità di uscita dei profughi, per «aprire le frontiere alle persone che fuggono l’Afghanistan controllato dai talebani e che hanno diritto di venire in Germania», cittadini bi-nazionali e persone minacciate, ha affermato il ministro degli Esteri, Heiko Maas. La proposta franco-britannica di “safe zone” avrebbe dovuto permettere di «proteggere gli afgani minacciati e portarli fuori dal paese nei prossimi giorni o settimane», al di là della data del 31 agosto, aveva precisato domenica il presidente francese, Emmanuel Macron.

SEMPRE IERI, un G7 speciale, con Turchia, Qatar, Nato e Ue accanto a Usa, Canada, Gran Bretagna, Francia, Germania, Giappone e Italia, ha discusso di un «approccio allineato». Il Qatar ha una posizione centrale da anni sul dossier afgano, qui hanno avuto la residenza dei capi talebani, a Doha si sono svolti i negoziati. Adesso la Francia (c’è stato un incontro a Doha giovedì) afferma che il Qatar può avere un ruolo importante per il proseguimento delle evacuazioni umanitarie, per «riaprire ponti aerei». Alla Turchia i talebani hanno chiesto di succedere agli americani nel controllo logistico dell’aeroporto di Kabul.

Malgrado l’opposizione dei talebani alla “safe zone”, Macron ha rivelato che ci sono contatti, anche da parte francese. «Aprire discussioni con i talebani – ha precisato Macron – non significa un riconoscimento del loro governo». L’occidente pone condizioni: prima di tutto la lotta al terrorismo, poi il rispetto dei diritti umani, compresa la protezione di chi intende andarsene per chiedere l’asilo, e i diritti delle donne.
Nell’immediato, a poche ore dalla partenza degli Usa, l’emergenza restano le evacuazioni e le centinaia di persone intrappolate. Ma la sconfitta in Afghanistan e il disimpegno statunitense spiazzano gli europei. Dopo il summit di Baghdad nel fine settimana, Macron, solo leader occidentale presente, ha affermato che «qualunque sia la scelta degli Usa, manterremo una presenza per lottare contro il terrorismo», almeno «fino a quando l’Iraq lo vorrà» («abbiamo le capacità operative per assicurare questa presenza», ha precisato il presidente francese).

L’ALTO RAPPRESENTANTE per la politica estera e la difesa, Josep Borrell, propone l’istituzione di una First Entry Force, una «forza di reazione rapida» europea, forte di 5mila militari, come «lezione» da imparare dal fallimento – anche europeo, non solo Usa, per Borrell – della sconfitta in Afghanistan. Molti ostacoli dovranno essere superati, dal 2007 esiste nella Ue un sistema di “gruppi tattici”, con 1500 militari, che però non è mai intervenuto da nessuna parte perché non c’è accordo tra i 27 sui modi e sulle formalità (Londra era contraria, ma comunque non esiste nella Ue una cultura militare comune, tra paesi con l’arma nucleare – ora solo la Francia – e paesi con tradizione di non allineati, con la Germania in mezzo). «La Ue deve essere in grado di intervenire per proteggere i nostri interessi, quando gli statunitensi non vogliono essere coinvolti», avverte Borrell.