In attesa di esecuzione capitale nelle prigioni statunitensi ci sono principalmente afroamericani, ispanici, nativi d’America. Due condannati a morte d’origine pellirossa, Ray e Nendy, sono i protagonisti di Racconti Yaqui e Memorie Cherokee, un libro curato da Marco Cinque per le edizioni Pellicano (pp.140, euro 12).
Tutta l’antica cultura degli indiani – un misto di spiritualità, amore per la natura e senso universale di fratellanza – viene fuori in questi ricordi scritti con amore e un pizzico di nostalgia che ci fanno conoscere la capanna sudatoria, il fischietto d’osso d’aquila, la cerimonia di purificazione e altre prove di resistenza, forza e coraggio che i giovani Choctaw devono sostenere per entrare nel mondo adulto.

Camminare lungo il sentiero della vita non era facile per i nativi americani, poveri e discriminati, nel XX secolo. Ya-nu A-di-si, nome indiano di Ray Allen, traducibile con Running Bear, Orso-che-corre, ha vissuto da bambino a Clayton, una piccola cittadina nelle montagne Kiamichi in Oklahoma chevuol dire terra delle persone rosse, situata al centro delle Grandi Pianure, è un grande territorio dove vennero trasportati e deportati migliaia di nativi americani del nord, con gli accordi post-guerra civile americana. Qui Ray farà la conoscenza di commercianti imbroglioni e razzisti, di padroni disonesti e di qualche amico bianco che girerà insieme per i tornei di rodeo dove il brillante cavallerizzo senza sella guadagnava in un giorno più di tutta la sua famiglia in un mese nella raccolta delle patate o delle ciliege. C’è allegria e felicità nelle piccole cose, nei canti improvvisati per accompagnare il lavoro o nella preparazione di una torta e di altre cibarie, nell’andare a pescare e fare un falò coi compagni.

Fernando Eros Caro, Nendy per gli amici, pittore di grandi qualità (suo il dipinto di copertina), riprende storie tradizionali Yaqui, legate al mondo della caccia e della stregoneria, alle lune che cambiano quotidianamente e agli animali dallo spirito buono, tutte però hanno un breve insegnamento finale perché questi racconti avevano un forte intento didattico, alcune parole di saggezza da ascoltare attorno a un fuoco o in un caldo teepee, prima d’addormentarsi. Il distillato di un sapere millenario basato sull’oralità, su un modo affascinante di descrivere il mondo, su una diversa visione della vita, avvicinandosi a credenze e ritualità di una etnia praticamente sterminata e azzerata culturalmente.

Ray e Nendy sono diventati piuttosto noti in Italia per merito di Marco Cinque, giornalista e musicista, che ha avviato nel 1992 una corrispondenza epistolare con i due prigionieri nel braccio della morte di San Quentin, in California ed è diventato il loro megafono internazionale e un quasi fratello tanto da essere battezzato con un nome cherokee, U-wo-li Gi-ga-ge ossia Red Eagle, Aquila Rossa. Nel corso degli anni le loro terribili vicende sono state narrate in diverse pubblicazioni Prigionieri dell’uomo bianco, Parola di vecchio orso, Saai Maso (Fratello Cervo) nate per sostenere la revisione dei processi e la lunga prigionia (oltre trent’anni).

Oggi i due amici indiani non ci sono più. Orso-che-corre è stato ucciso a 76 anni, nel 2006, nonostante fosse disabile e gravemente malato; Nendy è stato colpito da un infarto nella sua cella, a gennaio di quest’anno.
I loro sorrisi coraggiosi da persone speciali si trasmettono in queste pagine, in quest’eredità di bellezza, consapevolezza e amore tramandate da un continente all’altro, cercando di orientare e ammaestrare le nuove generazioni.
«Loro possono rinchiudere i nostri corpi, e lo fanno, ma non riusciranno mai a rinchiudere i nostri spiriti», scrivevano e i loro insegnamenti sono tuttora semi di bellezza e di pace.