Larry è un ebreo di New York. I suoi trent’anni hanno addosso i primi segni dell’invecchiamento, mentre la sua quotidianità si srotola pigramente, i giorni trascorsi nel settore della pubblicità, le notti strafatte di canne e junk food. Solo la pornografia del web, di cui è avido consumatore, riesce a provocare qualche sussulto nella sua esistenza indifferente e consegnata, con piena avvertenza, alla più meccanica pulsionalità. La famiglia di origine è ortodossa, con le radici nel quartiere chassidico di Brooklyn. La madre è fuggita in seconde nozze con un ebreo un po’ osservante e un po’ ingrigito hippie, il padre è appena morto, la sorella Dina vive a Memphis, a miglia di distanza da tutto, con un marito e tre figli, ancorata saldamente al tronco dell’ortodossia. Questo l’identikit che raggiunge, rapido ma con sapiente gradualità, il lettore dell’ultimo romanzo di Nathan Englander, Kaddish.com (Einaudi, bella traduzione di Silvia Pareschi, che lascia intatta la freschezza dell’originale, pp. 208, € 18,50).

Dopo la morte del padre
La storia ha inizio in casa della sorella, in una metratura narrativa che evoca – per accenni, come funzione del racconto e senza mai cadere nella didascalia – la settimana del lutto ebraico. Il funerale del padre è alle spalle, gli specchi sono coperti, i parenti seduti su bassi sgabelli, i membri della comunità radunati per le preghiere comuni e il conforto, in una mistura troppo-umana di solidarietà, mormorazioni e sguardi furtivi dentro il dolore altrui, nel terreno emotivo e prossemico che si distende ininterrotto tra la spontaneità della condivisione e il protocollo.

Larry è un moderno apostata: fuggito per ribellione dal rigore dei rituali e da quella devozione che sgrana parole di fede e le accompagna a gesti immutati da secoli, si è immerso, per moto contrario, nella modernità più sguaiata e multicolore, sovrano degli ultimi ritrovati della tecnologia che – nell’anno conclusivo del Novecento, tempo inaugurale della vicenda – gli consegnano felicità effimere e cavernosi appagamenti nel tempo di un click. Pur cercando deliberatamente la connessione e rifiutando i legami, questo ebreo metropolitano non è affetto da aridità e la morte del padre fa affiorare in lui una sofferenza creaturale. Ma la rivolta contro la tradizione è più forte e, pur di non recitare per un anno intero il kaddish, la preghiera in memoria del defunto affidata d’obbligo al parente più prossimo in linea maschile, Larry appalta l’orazione, secondo una sostituzione normativamente valida e suggellata dal responso veloce di un rabbino passante, a una sedicente accademia talmudica di Gerusalemme, scovata in Internet, i cui studenti fanno le devozioni per procura e dietro pagamento.
Il reperimento di una controfigura del lutto, che prega al soldo permettendo al figlio di sfangare l’incombenza, è ancora una volta facilitata dalla capillarità della rete e dalla superficiale complessità dei suoi motori di ricerca, di cui il protagonista è manovratore esperto, e che funzionano da vera presenza totemica nella prima sezione del romanzo. Poi, di colpo, con abile e immediata mossa prolettica che quasi stordisce il lettore, la narrazione salta avanti di vent’anni e si addossa al presente: nel 2019, Larry è diventato Reb Shuli, un ebreo religioso con moglie e figli, maestro di Scrittura nella stessa scuola talmudica che ha frequentato da bambino.

Secondo i modi classici e circolari della conversione che è, insieme, pentimento e ritorno a casa – sensi simultaneamente richiamati dal concetto ebraico di teshuvah – lo sbandato ha ripreso la via buona, districando i groppi interiori e levigando le asprezze.
Se consistesse solo nell’arrotondarsi perfetto di una felix culpa, la vicenda sarebbe poca cosa. Ma è proprio a questo punto, con l’abilità del grande costruttore di storie, che Englander si inserisce a scardinare assetti esistenziali e testuali, mostrando la tenace presenza dell’irrisolto dietro ogni facile soluzione, in un registro che, come sempre nei suoi romanzi, mescola ironia a serietà con miscela sapiente. L’incontro con uno scolaro problematico e il coagularsi di un pensiero, a metà tra lo psicologico e il giuridico, innescano lo sfaldamento. Un nodo talmudico, con l’avvitamento concettuale che genera a strascico nella mente del protagonista, mostra, con chiarezza lampante, quanto l’apparentemente pacificato Reb Shuli sia al contrario un fascio di conflitti insoluti e di lacerazioni mal rattoppate: solo l’incontro – il protagonista ne è convinto – con il fantomatico ragazzo di Gerusalemme che, due decenni prima, era stato assoldato per recitare il kaddish in sua vece e la slegatura da questo lutto mercificato potrà davvero liberargli la mente e dare alla sua fede senso pieno e valore incontestato.

L’argomento è cigolante e dimostra sempre più la sua inconsistenza, mentre il protagonista perde il controllo e la presa sulle cose, mettendo a severo rischio lavoro, famiglia e tenuta interiore. In un mulinello di insensatezze, finte serendipità, lapsus fin troppo leggibili, slittamenti onirici che parlano da sé, Reb Shuli squaderna davanti al lettore la sua psiche solcata da una formidabile capacità autopoietica e affabulante che non impara dalle esperienze, resiste a ogni autentica cognizione del dolore e conserva le proprie anestesie emotive, impedendogli di transitare davvero verso un altro sé, ristrutturato e consapevole.
Englander è maestro nel mostrare il paesaggio mentale del suo protagonista, dove il dolore di un passato invadente e insuperato si intrica con i giri concettuali del Talmud, ma altrettanto riuscite sono le guizzanti descrizioni di paesaggi americani o gerosolimitani, flash veloci che, con poche parole, richiamano per intero un ambiente. E altrettanto intelligente è l’utilizzo del lessico informatico nella versione, ormai un po’ vintage, di fine anni Novanta e in quella aggiornata al nuovo millennio, con termini settoriali che non sono mai puri tecnicismi ma che rasentano la funzione poetica.

Spasso e moralità
Più breve, più lineare, forse anche più divertente dei romanzi di Englander che lo precedono, Kaddish.com, storia quadripartita e scandita nella scattante successione di brevi capitoli, è un libro insieme spassoso e attraversato da una profonda moralità. Sincero nel mostrare le ambivalenze, i discorsi doppi, le contraddizioni che tramano l’interiorità, i binari paralleli su cui corrono l’ipocrisia della religione organizzata e il bisogno profondo di credere. Sulla rotta di questi crocevia emotivi, Larry e Reb Shuli camminano insieme, due volti e due poli esistenziali che si integrano senza negarsi, e la cui somma può forse costituire – unico antidoto a un’identità dimezzata, più orizzonte utopico che traguardo concreto – un io integro e risolto.