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Nash, l’artista pastorale nel vuoto verdastro

Nash, l’artista pastorale nel vuoto verdastroPaul Nash, "Void", part., 1918, Ottawa, National Gallery of Canada

Le immagini della guerra: Paul Nash Un paesaggio sul fronte belga che sembrava concepito «da Dante o Poe»: come lo shock sovvertì le certezze estetiche del tenente pittore inglese

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 21 agosto 2022
L’artista-tenente Paul Nash nell’aprile 1918 in una foto di Bassano Ldt, Londra, National Portrait Gallery

Void of War, il vuoto della guerra: così si intitolava la mostra di disegni e dipinti organizzata nel maggio del 1918 alle Leicester Galleries di Londra dal tenente dell’esercito inglese Paul Nash, «artista ufficiale sul fronte occidentale». Void (1918) era anche il titolo di un impegnativo quadro a olio di Nash, dipinto a partire dalla sua esperienza su uno dei fronti dove i combattimenti della Prima Guerra Mondiale si erano fatti più crudeli, quello belga, attorno a Ypres. Nei disegni e nel quadro il senso di vuoto non è determinato dal silenzio o dalla mancanza di oggetti; la parola designa piuttosto il vuoto morale, l’assenza del bene, la scomparsa di Dio. Questo scrive l’artista in una lettera alla moglie, tante volte citata perché vi si coglie l’attimo in cui da spettatore emozionalmente distante, con uno sguardo quasi da flâneur, Nash si ritrova fisicamente e moralmente nel bel mezzo della guerra.
Tale è lo sconvolgimento provato, che il pittore non è sicuro di poterlo restituire con le parole o le immagini. Riporterò sotto alcuni passaggi della lettera, ma prima conviene vedere come Nash riesca a esprimere visivamente il vuoto, nel quadro che porta quel titolo. Sul primo piano di un’immagine concepita per diagonali e spigoli aguzzi, si dispongono casse di munizioni aperte e abbandonate, il corpo di un soldato ridotto alla silhouette della divisa appiattita nel fango, a sinistra un camion militare, a destra i cavalli di frisia, i cannoni, le esplosioni in atto; verso lo sfondo, fra le luminescenze e la polvere causate dalle esplosioni, un biplano colpito si avvita precipitando verso il suolo. Sul terreno, solcato dalla geometria delle trincee, Nash dipinge l’acqua sporca stagnante, gli alberi ridotti a tronchi mozzati, tutto illuminato da una luce malsana e verdastra.
Come arriva Paul Nash a questo dipinto? Nella geografia dell’arte moderna inglese degli anni che precedono la Prima Guerra Mondiale il pittore, nato nel 1889, è piuttosto isolato. È al corrente delle novità dell’arte moderna, ma non si avvicina né alla delicata forma di postimpressionismo francofilo praticata a Bloomsbury, ad esempio, da Vanessa Bell e Duncan Grant subito prima della guerra, né si lascia coinvolgere dalla pittura della vita moderna degli artisti del Camden Town Group; e la sua pittura è ancora troppo intrisa di cultura simbolista per avvicinarsi al modernismo iconoclasta e senza compromessi del Vorticismo. Inoltre, più che pittore, Nash è un disegnatore: come tanti artisti moderni inglesi, ha studiato alla Slade School of Fine Art, sotto il magistero implacabile e didatticamente efficacissimo di Henry Tonks. Alla pittura arriva in seguito, proprio con i dipinti di guerra.
All’alba degli anni dieci, Nash è in cerca di una propria dimensione espressiva, e la trova nella reinterpretazione, da artista novecentesco, della tradizione romantico-visionaria inglese tra William Blake e, soprattutto, Samel Palmer. Prima del 1917 la sua pittura ha un tono pastorale, con qualche elemento di modernità. Nelle sue immagini d’anteguerra il paesaggio si fa specchio delle emozioni dell’animo umano e al tempo stesso è sintomo visibile di una realtà spirituale superiore e nascosta: Nash stesso e la moglie Margaret erano in questa fase molto addentro alle teorie teosofiche.
Allo scoppio della guerra l’artista ha venticinque anni e si arruola volontario, ma, prima di affrontare le linee del fronte in Belgio, trascorre lunghi mesi acquartierato in Inghilterra. Nella primavera del 1917 fu trasferito in zona di combattimento, ma a quanto pare non ebbe esperienza di battaglia, benché si trovasse in una delle aree più pericolose, quella vicino a Ypres, che ha dato il nome ai gas asfissianti lì sperimentati dai tedeschi per la prima volta nel 1915. Le settimane della primavera del 1917 trascorse da Nash al fronte non furono tuttavia traumatiche: forse era capitato lì durante un avvicendamento di truppe, o i generali avevano stabilito una breve pausa nelle ostilità, fatto sta che Nash in quell’occasione non vide la guerra per davvero. Le cose erano però destinate a cambiare. Nei mesi intercorsi fra la primavera e l’autunno del 1917, che Nash aveva passato in Inghilterra, l’artista aveva mosso mari e monti per farsi nominare «War Artist», artista di guerra al seguito delle truppe, con l’incarico ufficiale di documentare il conflitto. In questa veste tornò sul saliente di Ypres e lì, infine, vide quello che nella primavera passata la sorte gli aveva risparmiato.
Lo shock fu terribile e Nash se lo portò appresso per tutta la vita. La lettera scritta alla moglie sull’onda di quella visione, grondante sdegno apocalittico, disgusto e orrore, è un vivido documento del suo stato d’animo. Nash ha appena visitato le linee in una sera di novembre e riferisce di avere «assistito all’incubo più spaventoso» in un paesaggio in cui non è rimasto più nulla di naturale, ma che sembra concepito piuttosto «da Dante o Poe»; e aggiunge «indicibile, assolutamente indescrivibile. Nei quindici disegni che ho fatto posso darti un’idea dell’orrore, ma soltanto starci dentro ed esserne parte può farti capire la sua natura spaventosa e quello che devono affrontare i nostri uomini in Francia». È un panorama da cui Dio è scomparso: «Il male e il demonio incarnato sono i soli padroni di questa guerra; non si scorge da nessuna parte il barlume della mano di Dio. (…) La pioggia è continua, il fango fetido diventa sempre più giallo, le buche delle bombe si riempiono di acqua bianco-verdastra, le strade e i sentieri sono coperti di melma, gli alberi neri e morenti stillano e trasudano umori e le bombe non la smettono mai. (…) Piombano dall’alto, strappando i ceppi marciti degli alberi, rompendo le strade pavimentate di assi, abbattendo cavalli e muli, annientando, mutilando, sconvolgendo, abbattendosi sulle tombe e scaraventandovi i poveri morti. È indicibile, senza Dio, senza speranza. Non sono più nei panni dell’artista interessato e curioso; sono il messaggero che riporta a quelli che vogliono che la guerra continui per sempre le parole dei combattenti. Il mio messaggio sarà debole e inarticolato, ma avrà il sapore di un’amara verità, e che possa bruciare le loro anime schifose».
La lettera non solo trasmette l’angoscia di fronte alla guerra in sé, ma si chiede anche se sia possibile mettere l’esperienza di quell’angoscia in una forma plausibile; si domanda cioè in che misura sia possibile esprimere verbalmente e visivamente quanto ha vissuto. Da quest’ultimo punto di vista il modello del paesaggio pastorale non basta più e Nash deve cercare altrove una chiave d’interpretazione: come nota Philippe Dagen, non sono molti gli artisti che rispondono al trauma della guerra inventando un linguaggio visivo nuovo, e Nash è fra questi. Nell’ambiente inglese egli ha almeno un precedente a cui ispirarsi, il vorticista Christopher Nevinson. Anch’egli «artista di guerra», Nevinson lavora sul tema con grande ricchezza di registri, dai più tradizionali ai più modernizzanti. In particolare, nella scansione delle diagonali Nash si ispira alle immagini più avventurose di Nevinson, quando questi raffigura ad esempio gruppi di soldati in marcia come automi, dai profili aguzzi e spigolosi.
Ed è proprio nell’ambiente vorticista che si pone in Gran Bretagna la questione di una risposta visiva adeguata alla nuova guerra, quella meccanizzata, che non aveva ancora una tradizione di racconto figurativo. Oltre a Nevinson, sperimentavano in questa direzione anche Wyndham Lewis, o Henri Gaudier-Brzeska, il quale ultimo, peraltro, perse la vita in combattimento. Di suo, rispetto a Nevinson, Nash aggiunge il pianto per la distruzione della natura, per l’acqua sudicia e contaminata, per gli alberi ridotti a mozziconi senza vita. Dopo essersi lasciato alle spalle l’emozionalità sommessa e la lieve coloritura spirituale del paesaggio pastorale d’anteguerra, Nash presenta una natura dai toni tragici ed epici, gli unici adatti a rendere l’«amara verità» della guerra.

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