Dopo le mozioni di una decina di giorni fa della camera dei deputati per fermare il programma F35, sono previsti altri appuntamenti sulla pace e il disarmo in parlamento. Da lunedì prossimo sarà il senato a discutere le tre mozioni (del Pd Casson, di Sel e del M5S) che chiedono la sospensione o l’interruzione della produzione dei cacciabombardieri. Poi, sempre la prossima settimana, il parlamento dovrà occuparsi del decreto del “Fare”, dove c’è un articolo, il 48, che prevede di trasformare i nostri militari in commercianti d’armi per le industrie belliche. Quell’articolo va soppresso.

Sempre nelle prossime settimane – si spera – il parlamento dovrebbe occuparsi della ratifica del Trattato internazionale sul commercio di armamenti, approvato dalle Nazioni Unite nel marzo scorso e da giugno aperto alla ratifica dei paesi membri. Nel frattempo il Tar ha bocciato il ministero della difesa e i lavori al Muos non riprenderanno. Delegazioni di parlamentari pacifisti (con gli attivisti dei movimenti) stanno visitando poligoni e basi militari: dopo il Muos e Aviano, nelle prossime settimane sarà la volta di Cameri (dove si assemblano gli F35) e delle basi in Sardegna.

Per ultimo – proprio oggi – oltre 70 deputati e senatori di diverse forze politiche costituiscono il gruppo dei “parlamentari per la pace” che intende promuovere – con la collaborazione di campagne e coordinamenti pacifisti come la Rete Disarmo, Sbilanciamoci e la Tavola della pace – iniziative comuni sui temi della pace e del disarmo in parlamento.

Il tema della pace e del disarmo è tornato al centro del dibattito politico italiano. E questo è un bene. Evidente è il nervosismo e il fastidio crescente degli apparati e dei vertici della difesa e del ministro Mauro che vuole “armare la pace”, magari grazie a quei formidabili “strumenti di pace” che sarebbero secondo lui gli F35. Fino a oggi il ministero della difesa e gli interessi del blocco industriale/militare sono stati salvaguardati da una cappa protettiva “bipartisan” che ha garantito alti livelli di spesa militare (più di 25 miliardi di euro), abbondanti commesse all’industria bellica, sostegno a un interventismo militare nelle aree di conflitto. E i prossimi decreti attuativi della legge delega sullo strumento militare garantiranno – insieme ai tagli del personale – maggiori risorse per gli investimenti nei sistemi d’arma. Non ci sono solo gli F35, ma anche i sommergibili (altri quattro), gli incrociatori e le fregate (in tutto una dozzina di navi nei prossimi mesi) che ci faranno spendere nei prossimi anni miliardi di euro. Invece di destinare risorse al lavoro e alle misure contro la crisi continuiamo a buttare soldi nella guerra.

Sono altre le priorità di cui dovrebbe occuparsi la politica italiana: ridurre la spesa militare a favore del lavoro e del welfare, porre fine agli interventismi armati di carattere bellico, promuovere politiche di pace e finanziare il servizio civile, riconvertire l’industria militare investendo nelle produzioni civili, porre limiti al commercio di armi vietandolo una volta per tutte quando ci sono di mezzo paesi in guerra e che violano i diritti umani.
Riportare la pace nella politica, significa cambiare le priorità dell’agenda politica e se si vuole “amare la pace” bisogna disarmare l’economia e la politica rimettendo al centro i diritti umani, la cooperazione e la giustizia economica e sociale. E rispettare, una volta per tutte, l’art. 11 della Costituzione: «L’Italia ripudia la guerra».