Da tempo ormai la Cina cerca di esercitare un suo “soft power culturale” nel mondo, un’aspirazione che ha assunto una dimensione particolarmente rilevante soprattutto con la leadership di Xi Jinping, che sin dall’inizio del suo mandato ha ripetuto a più riprese la necessità di “raccontare bene le storie della Cina, diffondere bene la voce della Cina, aumentare il potere discorsivo della Cina a livello internazionale”, al fine di propagare, nel mondo, “conoscenze più autentiche, tridimensionali e
complete della Cina”.

Sul piano pratico ciò si è tradotto, come sappiamo, in enormi investimenti – avviati in parallelo con lo sviluppo dell’iniziativa economico-strategica della Belt and Road – volti a finanziare gli scambi culturali con la Cina, favorire l’espansione dei media cinesi all’estero, incrementare l’impatto internazionale della diplomazia nazionale, eccetera, al fine di rendere maggiormente udibili all’estero le prospettive culturali e le istanze politiche “cinesi” sostenute dal governo.

Se da un lato il cosiddetto “soft power” cinese è già stato abbondantemente studiato a livello strutturale (ovvero quali apparati, quali discorsi governativi e quali operazioni concrete lo fanno funzionare), non molto è stato ancora fatto per analizzarlo dal punto di vista ideologico-culturale, osservando, cioè, i contenuti delle concrete narrazioni sulla Cina, sulla cultura cinese, sui valori cinesi, etc., che sono state confezionate e promosse attraverso queste operazioni.

A questo proposito è utile ricordare gli specifici ambiti tematici riguardo cui il governo cinese sente l’esigenza di ri-narrare la Cina secondo una prospettiva più propriamente autoctona, al fine di migliorare la comprensione della soggettività culturale cinese all’estero. Secondo un articolo apparso poco meno di due anni fa in un giornale teorico del Partito Comunista, essi sarebbero: 1) la rinascita della nazione cinese; 2) la “via cinese” (ovvero le specificità politiche, economiche e sociali del “modello cinese”); 3) l’eccellenza della cultura tradizionale cinese; 4) la convergenza fra le civiltà; 5) l’amicizia fra i popoli; 6) le interazioni fra gli stati; 7) la visione dello sviluppo pacifico.

Tutti elementi, come si può vedere, appartenenti all’ideologia ufficiale elaborata e sanzionata dal partito, che si traducono, in senso ampio, nello sforzo di far conoscere e legittimare, mettendoli in una luce positiva, il sistema politico cinese, il modello di sviluppo da questo portato avanti, le ambizioni di ascesa politica, economica e culturale cinese – ovvero il “sogno cinese” che in realtà non sarebbe solo cinese data la sua aspirazione a portare benefici a “tutto ciò che sta sotto il cielo”, sottolineando la necessità di costruire per l’umanità tutta una “comunità di destino” universalmente vantaggiosa; da cui l’enfasi agli scambi, le mutue convergenze e i sentimenti di amicizia fra i popoli, e la bontà dei cosiddetti “valori cinesi” (Zhongguo jiazhiguan), in parte intesi come “l’eccellenza della tradizione cinese” in parte sintetizzati come i “valori fondati del socialismo”, incentrati sulle virtù dell’armonia, dell’amore per la pace e della responsabilità.

Wuhan. @LaPresse

 

Visioni, è importante sottolinearlo, che tendono a essere costruite in modo implicito o esplicito come delle contronarrazioni di quelli che vengono invece definiti i “valori occidentali” (in particolare, istituzioni democratiche e principi liberali), in opposizione ai quali il “modello” e i “valori” intrinsecamente cinesi tracciano delle alternative virtuose e ottimiste per il futuro mondiale.

Se da un lato l’iniziativa di promuovere all’estero delle visioni più soggettivamente cinesi può essere vista positivamente anche come mezzo per contrastare certi pregiudizi culturali di matrice eurocentrica, l’obiezione più ovvia che si può muovere a tale iniziativa è che, essendo quest’ultima di fatto promossa dal governo cinese secondo gli obiettivi ideologici dello stesso governo, più che a fornire narrazioni più “autentiche, tridimensionali e complete” sulla Cina secondo una prospettiva
“interna”, per così dire “vissuta” dai suoi protagonisti, mira in realtà a diffondere una costruzione strumentalizzata della cultura cinese secondo gli interessi della propaganda nazionale.

Date queste premesse, è utile indagare le narrazioni promosse fin qui dal soft power cinese, interrogandosi sul modo in cui operano, come si strutturano e, soprattutto, quali immaginari, forme di esperienza e prospettive storiche diffondono e promuovono.

 

Come sono costruite, in queste narrazioni, le peculiari “caratteristiche cinesi”? Quali “valori cinesi” veicolano? In che modo questi valori si contrappongono, e competono, con i “valori occidentali”? In che modo accrescono, se lo fanno, il nostro sapere sulla Cina? In che modo eventualmente lo semplificano o lo distorcono? In che modo mettono in discussione i nostri stereotipi? In che modo reificano la cultura cinese, producendone immagini monopolistiche ed essenzializzate che annullano la pluralità e la diversità delle visioni cinesi? Quali impatti hanno avuto e quali effetti hanno prodotto presso il pubblico straniero, o potrebbero potenzialmente produrre se queste narrazioni si diffondessero in seguito all’espansione mondiale della Cina?

E ancora, in che modo attraverso queste narrazioni il governo cinese tenta di riscrivere la storia mondiale secondo una prospettiva cinese? Quanto di questa prospettiva è verosimile e legittimo, quanto è finzione e propaganda? Quanto di queste narrazioni è davvero destinato al pubblico fuori dalla Cina, e quanto invece mira piuttosto, indirettamente, alla ricerca di un consenso interno fra la popolazione cinese?

Per provare a esplorare queste questioni è stato lanciato il numero speciale su Sinosfere incentrato sulle “storie della Cina”, Zhongguo gushi, nella speranza che gli interventi qui pubblicati facciano da stimolo per ulteriori riflessioni e contributi su come la cultura cinese oggi configurata e promossa dallo stato cinese viaggia ed eventualmente si diffonde nel (nostro) mondo.

 

*In collaborazione con Sinosfere.com