La diagnosi è perfetta, il rimedio inspiegabile. Si può negare che il Parlamento sia ridotto a «uno straccio», come denuncia Napolitano l’Emerito nella sua lectio di fronte alla «scuola quadri» del Pd? Chi meglio di lui sa che a ridurre così le Camere è stato l’abuso di «fiduce e decreti»? Però perché mai la riforma di Renzi dovrebbe «rendere di nuovo il Parlamento un luogo degno» e addirittura superare «anomalie» che ci trasciniamo dietro sin dal 1948, l’ex presidente non lo dice. Parola sua, e tanto ha da bastare.

Sin qui è propaganda e nulla di strano. Che il vero capo del Sì sponsorizzi la sua riforma e la esalti sino all’iperbole è cosa naturale, né è la prima volta che Giorgio Napolitano si produce in numeri del genere. L’importante, nel suo intervento di ieri, è altrove. Come spesso capita va cercato leggendo tra le righe. Napolitano ha criticato severamente l’avvio della campagna referendaria: «Si sono commessi molti errori che hanno facilitato la campagna del No». Per fortuna «Renzi lo ha capito». Attenzione però perché «il tempo conta».

In apparenza la lavata di capo riguarda solo la scelta autolesionista di personalizzare il referendum, forse l’errore più clamoroso e più vistoso commesso da Renzi. In realtà c’è qualcosa, anzi molto di più. Napolitano è tornato a picconare con foga cossighiana l’Italicum. Dopo aver esaltato in ogni modo la stabilità, non abbastanza garantita da una Costituzione scritta da chi, come Dc e Pci, temeva che gli avversari potessero abusare del potere, il sovrano mai davvero deposto afferma che se però «pur di avere un governo devi dare la maggioranza a chi ha ottenuto il 28%, la stabilità non è garantita ugualmente». Difende le coalizioni, cioè lo spauracchio per evitare il quale è stata pensata una legge iper-maggioritaria come l’Italicum: «Avere governi di coalizione e una politica di alleanze non è una bestemmia». Si sovrappone a Renzi assicurando che il premier non vuole affatto a tutti i costi il ballottaggio.

Invece Renzi al ballottaggio ci tiene eccome, e se è pronto a modificare la sua legge elettorale non è disposto, o forse non lo è ancora, a sacrificarne la logica maggioritaria e anti-coalizioni implicita. Il passo indietro sull’Italicum, per ora, ha valenza essenzialmente propagandistica. Serve a ripetere, come il premier ha fatto anche ieri, che «non si vota sul governo né sulla legge elettorale». In parte la coppia di testa del Sì è divisa perché i due nutrono paure diverse. Per l’ex capo dello Stato la priorità è evitare una vittoria dell’M5S, senza dubbio favorita dall’Italicum. Per Renzi l’imperativo è invece non doversi ritrovare al governo con l’ex socio del Nazareno: sa che si tratterebbe di un calvario al termine del quale, probabilmente, l’M5S arriverebbe comunque alla vittoria presentandosi come la sola alternativa all’«inciucio» Pd-Fi. Proprio questa, del resto, è la strategia che muove Grillo il proporzionalista.

Ma non c’è solo questo. Napolitano, che di politica ne mastica da sempre, è consapevole di quanto disastroso sarebbe per il Pd arrivare diviso a una prova determinante come il referendum sulla riforma. Chiunque uscisse vincitore dalla prova, a essere sconfitto, lacerato e alla fine inevitabilmente scisso sarebbe proprio il partitone. La via per evitare la catastrofe che si sta configurando Napolitano la aveva già indicata nella sua intervista fiume di qualche settimana fa. Non a caso, parlando delle alternative all’Italicum, ne aveva citata una e una sola: quella di Speranza, il cavallo di battaglia della minoranza del Pd. È chiaro che se Renzi cedesse su quel fronte, il Sì della minoranza sarebbe garantito, e proprio quella è la strada che indica Napolitano. Renzi per ora non sembra aver intenzione di seguirla. Forse proprio per questo l’alto protettore ha sentito il bisogno di tirargli le orecchie e di ricordargli che i tempi in politica spesso sono tutto.