Questa volta il capo dello Stato non si è limitato a ripetere l’appello che rivolge – inascoltato – da quasi tre anni alla classe politica riguardo l’«intollerabile situazione di sovraffollamento» carcerario. Questa volta Giorgio Napolitano è andato oltre, indicando la via, evidentemente nascosta agli occhi degli organi legislativi di questo Paese: «Un ripensamento del sistema sanzionatorio e una rimodulazione dell’esecuzione della pena – ha scritto nel messaggio inviato al capo del Dap, Giovanni Tamburino, in occasione del 197mo anniversario della Polizia penitenziaria – sono indispensabili per superare la realtà di degrado civile e di sofferenza umana riscontrabile negli istituti».

Fin dal giugno 2011 il presidente della Repubblica si è schierato al fianco di Marco Pannella nella sua lotta nonviolenta per ripristinare lo stato di legalità nelle carceri italiane. Ma neppure la recente telefonata di Papa Bergoglio al leader radicale sembra aver smosso le sopite coscienze politiche. Ora l’appello del presidente della Repubblica diventa più incisivo in vista ormai della deadline di fine mese imposta all’Italia dalla Corte europea dei diritti umani per trovare «soluzioni strutturali» alla condizione di vita dei suoi detenuti, ritenuta «inumana e degradante», a cui si aggiunge un’altra scadenza meno gravida di conseguenze ma pure decisamente importante. Il 29 maggio infatti, proprio quando potrebbero scattare le sanzioni europee assai pesanti per le casse dello Stato italiano, la Corte di Cassazione a Sezioni unite si dovrà pronunciare sulla rideterminazione delle pene in esecuzione a seguito di condanne definitive avvenute sulla base di leggi dichiarate incostituzionali dalla Consulta, anche nel caso in cui rimanga in vigore il quadro normativo generale da cui quelle leggi sono tratte. Se ne è parlato proprio ieri, mentre le parole di Napolitano rimbalzavano sui media, nella sala del Senato Santa Maria in Aquiro, in un convegno organizzato dalla Società della Ragione e dall’Unione delle camere penali, in collaborazione con Antigone, Cnca, Cgil e Forum Droghe, dal titolo «Eseguire una pena illegittima?».

Il caso a cui le Sezioni unite della Cassazione sono chiamate a pronunciarsi riguarda l’incostituzionalità, dichiarata dalla Consulta con la sentenza 251 del 2012, di una norma contenuta nella cosiddetta ex Cirielli che faceva prevalere l’aggravante della recidiva sull’attenuante della lieve entità in caso di violazione della legge sugli stupefacenti (articolo 73 del testo unico). Nel frattempo – ma il quesito non cambia – l’ultimo decreto Severino, il cosiddetto «svuotacarceri» convertito in legge nel febbraio scorso, ha trasformato l’attenuante del piccolo spaccio in fattispecie autonoma di reato. «Una norma – ha spiegato Luigi Saraceni, tra i tanti relatori del convegno coordinato dal garante dei detenuti della Toscana, Franco Corleone, e presieduto dal presidente di Antigone, Stefano Anastasia – che ha imposto anni di carcere anche solo per cessione di uno spinello, nel caso di reiterazione del reato. Una delle tante leggi indecenti e spietate, eredità delle legislature di centrodestra». Come la Fini-Giovanardi e il reato di «clandestinità», entrambi spazzati via dalla Consulta.

Ed è proprio su questi due nodi – droghe e immigrazione – che si avranno le maggiori ricadute della sentenza della Cassazione attesa a fine mese, visto che, al di là del caso specifico, riguarda in via generale la possibilità di rimettere in discussione le condanne passate in giudicato – un totem di intangibilità, secondo una certa interpretazione giurisprudenziale – sulla base di norme dichiarate successivamente incostituzionali, sia pur parzialmente. È proprio il caso della legge Fini-Giovanardi che ha triplicato le pene minime e quasi quadruplicato le pene massime dello spaccio della cannabis portando in cella migliaia di persone: «Secondo i dati del Dap – racconta Corleone – nel 2013 su 59.390 ingressi in carcere, 20.718 erano per violazione dell’articolo 73 della legge sulle droghe. Alla fine di quell’anno, dei 62.536 presenti negli istituti penitenziari, più di 24 mila erano dentro per violazione di quella normativa incostituzionale».

E se l’interpretazione giurisprudenziale della questione è assai complessa, e anche controversa – a giudicare dal dibattito apertosi durante il convegno, per esempio tra il procuratore aggiunto di Napoli, Nunzio Fragliasso, e il Gip del tribunale di Perugia, Luca Semeraro – tanto più è necessario l’intervento del legislatore. Non solo per non lasciare ai tribunali ciò che sarebbe compito della politica, ma anche per evitare la discrezionalità dei giudici davanti alle tante richieste di ricalcolo della pena già presentate in queste poche settimane. C’è poi un provvedimento che risolverebbe velocemente ed equamente la questione, come hanno sottolineato gli intervenuti al convegno. L’amnistia, specifica se non generalizzata. Ma è una parola che Napolitano ieri non ha pronunciato.