Stava indicando i rischi della «agitazione distruttiva contro l’euro e contro l’Unione» Giorgio Napolitano, quando se l’è vista comparire davanti. Seduto accanto al presidente del parlamento europeo, a Strasburgo, il capo dello stato teneva il discorso per celebrare il trentennale del progetto di Trattato voluto da Altiero Spinelli, quando è stato interrotto dall’agitarsi di tre leghisti e mezzo. In piedi, nei banchi sulla destra, il segretario Salvini, l’eterno Borghezio e l’eurodeputata Bizzotto sventolavano fazzoletti verdi e manifesti contro l’euro e le banche; lì accanto seduto un quarto eurodeputato leghista si limitava all’esibizione di una felpa targata «Veneto».
Una sguaiataggine che almeno in Europa fa ancora notizia, soprattutto perché messa in scena nel corso di una seduta solenne dell’europarlamento. Napolitano l’ha ridimensionata – «protesta modesta e tradizionale» – Schulz condannata, Salvini rivendicata con un eloquente «Banzai!». Nel frattempo i leghisti romani, costretti agli stessi straordinari dalla concorrenza grillina, mostravano orgogliosi nell’aula della camera dei deputati un brutto paio di manette. A Strasburgo un lungo applauso dell’emiciclo parlamentare incoraggiava Napolitano ad andare avanti.

È stato, quello del presidente, un discorso di sorprendente critica alle politiche di austerità finanziaria condotte dall’Europa. Sorprendete perché il presidente che all’inizio della crisi economica aveva ricordato con severità come «si impongono politiche di rigore e sacrifici», ancora fino a pochi mesi fa ricordava che «la disciplina fiscale è un imperativo». E seppure negli ultimissimi tempi aveva cominciato ad affiancare l’attenzione per «la crescita» a quella, mai abbandonata, per il «rigore» dei conti, mai il presidente aveva parlato, come ieri, di «un circolo vizioso tra politiche restrittive nel campo della finanza pubblica e arretramento delle economie europee». Il capo dello stato che nel nome della stabilità delle politiche rigoriste ha spianato la strada a due governi di larghe intese modellati attorno ai desiderata dell’Unione a guida tedesca, ha detto ieri che quel circolo vizioso va «rotto». Ed è arrivato a citare positivamente – implicitamente nel testo, ma nominandolo nell’intervento a voce – un autore radicalmente critico con Berlino per l’austerità imposta all’Europa e persino scettico sulle possibilità di tenuta dell’Unione, Claus Offe.

La ragione di questa messa a fuoco si può spiegare con l’importanza cruciale che Napolitano attribuisce alle prossime elezioni europee, che considera niente di meno che «il momento della verità dell’Europa». Raccomandando «maggiore attenzione per le effettive condizioni di sostenibilità del debito» e quindi «una sufficiente apertura sui modi e sui tempi dell’ulteriore riequilibrio finanziari», cioè in sostanza un allentamento dei parametri che è l’esatto opposto del Fiscal compact dietro l’angolo, il presidente ha contemporaneamente ammonito sui rischi della propaganda «distruttiva» anti euro. Contro la quale non sarà nemmeno sufficiente «un cambiamento delle politiche economiche e sociali». No, ha detto il capo dello stato, serve «trasmettere razionalmente ed emotivamente le nuove ragioni del progetto europeo». Ma esaurito il mito dell’Unione, ricordato da Napolitano con il celebre omaggio di Mitterand e Kohl ai morti di Verdum, cosa riscalderà i cuori dei cittadini europei? «La molla – è la proposta, tra il difensivo e il minimalista – può essere quella dello scongiurare il declino del nostro continente». Cominciando a fare a meno dei responsabili no, non lo ha detto.