L’ultimo ponte non è ancora stato bruciato, ma le fiamme lo stanno lambendo. All’affondo delle dimissioni di massa dei berluscones, affluite copiose ieri su prestampati moduli, ha risposto con estrema durezza il vero destinatario del minaccioso messaggio, Giorgio Napolitano. Prima una lettera per scusarsi dell’assenza a un convegno su De Gasperi, corredata da un giudizio senza appello sull’intemerata: «Fatto istituzionalmente inquietante». Poi un comunicato, che chiude ogni spiraglio alle impossibili pretese berlusconiane: «L’applicazione di una sentenza definitiva è dato costitutivo di ogni Stato di diritto».
Napolitano non si ferma qui. Entra nel merito delle dimissioni di massa, che colpirebbero «alla radice la funzionalità delle camere». Solo che, specifica il presidente, nel nostro ordinamento di una simile modalità non c’è traccia. Le dimissioni, se mai usciranno dalle tasche dei capigruppo, saranno considerate «individuali». Dovranno essere votate una per una e, se accolte, subentreranno automaticamente i primi non eletti. Tempi biblici: Napolitano vuole che Silvio Berlusconi lo capisca bene. L’inaudita scelta sarebbe poi tanto più grave ove mirasse «a esercitare un’estrema pressione sul capo dello Stato per il più ravvicinato scioglimento delle camere». Meglio non illudersi, il Colle farà il possibile per mandare a vuoto quelle pressioni. Infine una bacchettata severissima: «Non occorre neppure rilevare la gravità e assurdità dell’evocare un colpo di Stato contro il leader del Pdl».
Non è solo un ceffone a mano aperta, peraltro inevitabile dopo l’iperbolica accusa del Cavaliere. E’ anche una cartina di tornasole. Per il pomeriggio si ipotizza un arrivo al Quirinale dei capigruppo Pdl. Dalle loro parole si capirà quanto è reale la minaccia delle dimissioni. Se abbassassero i toni sarebbe segno che il capo furioso abbaia ma ancora non ha deciso di mordere. La replica, però, va in direzione opposta, Schifani e Brunetta confermano parola per parola: spiacenti presidente, ma «parlare di golpe è realistico». Come d’abitudine ad alzare ulteriormente la tensione ci pensa Danielona la Pitona, che bolla la nota del Quirinale come «arrogante» e «non imparziale». Lo scontro è ormai diretto, e sul ring ci sono Silvio Berlusconi e Giorgio Napolitano. Fuori i secondi.

[do action=”citazione”]Il presidente allo scontro diretto con il Cavaliere: «Fatto inquietante» la minaccia di dimissioni dei parlamentari, «assurdo evocare un golpe». Ma Brunetta e Schifani, saliti al Colle, confermano: «Parlare di golpe è realistico»[/do]

Infatti è il capo dello Stato a prendere in mano la regia della crisi, triangolando con Enrico Letta a New York e con il ministro Franceschini, che a sua volta s’incarica di tenere i rapporti con tutti i ministri. La strategia d’attacco sarà in due mosse. Prima del consiglio dei ministri – previsto per oggi pomeriggio ma non ancora convocato – che ha in agenda la manovra da 3 miliardi, verranno chieste al Pdl precise garanzie. Inutile stanziare 1600 milioni per rassicurare l’Europa e poi bruciare quella rassicurazione con un clima da pre-crisi. Tanto varrebbe buttare la bella cifra nella spazzatura. I ministri devono impegnare se stessi e il loro partito a evitare scossoni, decadenza o non decadenza del superprocessato di Arcore. Poi un passaggio in aula, che non si chiama “verifica” ma “chiarimento” per scaramanzia, e lì, parlando non di Berlusconi ma della legge di stabilità, Letta, in diretta tv, cercherà di mettere il Pdl con le spalle al muro. Quando? Napolitano e il premier lo decideranno oggi, ma tutto indica che la data giusta sia prima del voto della Giunta, dunque martedì.
Cosa farà a quel punto Berlusconi è in realtà un’incognita. Nel suo discorso ai gruppi di mercoledì sera non ha fatto cenno al governo né ha parlato delle sole dimissioni rilevanti, quelle dei ministri. Però tutto indica la volontà di andare alle elezioni: ha assicurato ai suoi che la Lega sarà al loro fianco, che la vittoria è a portata di mano e soprattutto che chi non tradirà avrà garantita la rielezione. Poi, in un’ora e 40 minuti di discorso, ha spiegato nel dettaglio perché, anche dal punto di vista della sua “agibilità politica”, far saltare il banco sia la mossa giusta. Solo che le ragioni della politica cozzano quelle dell’azienda, che invece sconsigliano la crisi. Cosa sceglierà Berlusconi, di fronte all’eterno dilemma, chi può dirlo?
C’è un’ultima incognita, quella su cui intende scommettere Napolitano. Almeno due ministri, Lupi e Quagliariello, di tutto hanno voglia tranne che di lasciare il posto. Se diserteranno, potrebbero essere seguiti da quel congruo numero di senatori necessario per tirare avanti. E’ l’ultima spiaggia, perché a un Letta-bis raccogliticcio il presidente non ci pensa per niente. Se Letta fallirà, ha già deciso quale sarà la sua mossa: dimissioni.