«Siamo felici per Roma ma dobbiamo constatare che, ancora una volta, Napoli ce la sta facendo da sola», commentò il sindaco partenopeo Luigi De Magistris subito dopo l’approvazione del decreto “salva Roma”. Ieri il fastidio per «la politica dei due pesi e due misure» è diventato richiesta esplicita di un «tavolo di confronto permanente con il governo, i partiti politici dentro e fuori il parlamento, le organizzazioni sindacali e sociali». A far precipitare la situazione, il rischio di commissariamento per la terza città d’Italia. Lunedì la sezione regionale di controllo della Corte dei conti ha bocciato il piano di riequilibrio finanziario del comune di Napoli (entro 20 giorni il deposito delle motivazioni), valutandone «la non congruenza ai fini del riequilibrio» e provocando l’immediato annuncio del ricorso da parte dell’amministrazione.

Ieri, in una conferenza stampa molto tesa, la disparità di trattamento con la capitale è ritornata più volte nel corso del ragionamento sul piano di rientro predisposto da Palazzo San Giacomo per aderire alla legge “salva comuni”: «Sia chiaro – ha spiegato il sindaco – noi non abbiamo avuto finanziamenti a fondo perduto, mentre Roma usufruisce per la seconda volta di un provvedimento speciale. Chiedemmo di poter scorporare la gestione ordinaria dai debiti, che abbiamo ereditato dalla precedente gestione Iervolino, da affidare a un commissario. Ci risposero che non era possibile. Dopo due anni vediamo che invece per la capitale si può fare. Il governo e il parlamento devono intervenire, serve una legge speciale come per Roma. C’è il rischio che la città esploda». Entro tre mesi l’esito del ricorso, in caso di parere negativo il prefetto dovrà inviare un commissario e si aprirebbe la strada al default: a rischio posti di lavoro, creditori e il livello dei servizi, con trasporti e welfare già ora alla canna del gas.

Un breve colloquio con il Quirinale, una chiamata al premier Enrico Letta troppo occupato per rispondere ieri, un invito ai parlamentari campani a battere un colpo. La città pare non avere alcun peso sulla scena politica nazionale, come l’affaire San Carlo con relativo rischio commissariamento ha dimostrato, quasi anticipando la crisi di questa settimana. Per aderire alla “salva comuni” l’amministrazione ha predisposto un piano di rientro decennale da 3,1 miliardi: un taglio alle spese per oltre 700 milioni, 200 già realizzati nel 2013, la cancellazione di 850 milioni di euro di crediti attivi inesigibili o di dubbia riscossione, che gonfiavano i bilanci della precedente giunta, ridimensionamento delle partecipate e dismissione del patrimonio. In cambio arriveranno 300 milioni di euro (58 già incassati) dal fondo di rotazione dello stato da restituire in dieci anni.

«Ci hanno contestato cinque punti – ha spiegato l’assessore al bilancio, Salvatore Palma – in particolare sulla dismissione del patrimonio immobiliare, le partecipate e l’equilibrio dei conti. Sul primo punto, nel 2012 abbiamo realizzato 108 milioni, poi abbiamo affidato la gestione del patrimonio alla Napoli servizi, togliendola alla Romeo Immobiliare. Per il 2013 abbiamo previsto 31 milioni in considerazione dei tempi di start up. Siamo stati prudenti ma la Corte dei conti dice che le nostre previsioni non sono realistiche in considerazione dell’andamento degli ultimi otto anni, cioè quando il piano di dismissione non c’era neppure. Nove partecipate tagliate: quattro le abbiamo dismesse nel 2013, altre cinque nel corso del 2014. Pagavamo i fornitori in 38 mesi, siamo scesi a 18 così anche il contenzioso si è ridotto drasticamente. Quanto accanimento su Napoli quando a Roma solo per Atac e Ama si parla di un buco di un miliardo e mezzo».

Per ottenere la “salva Napoli” ci vorrebbe un dialogo a più voci: amministrazione, partiti, parlamentari e governo. Per ora si sono visti solo monologhi ma il rischio questa volta è grande e allora le diplomazie ieri hanno battuto un colpo. «Il dovere delle forze politiche è quello di assumere tutte le iniziative necessarie a salvaguardare la città e scongiurarne il default – scrivono in una nota congiunta i segretari cittadini e i capigruppo al Consiglio comunale del Pd, Sel e Centro democratico –. È impossibile ipotizzare l’emarginazione politica della terza città d’Italia». I deputati democrat Michela Rostan e Massimiliano Manfredi hanno lanciato un appello a ogni schieramento per mettere in campo strategie anti-fallimento.