Al centro la voce, evocativa e passionale di Eduardo De Crescenzo, accompagnato dal solo pianoforte di Julian Oliver Mazzariello, fra i più sofisticati talenti usciti dalla scena jazz nelle ultime stagioni, impegnati sulle partiture – eterne – della canzone napoletana. Brani iconici – ma non scontati nella scelta della scaletta – e perle misconosciute al grande pubblico. Avvenne a Napoli, passione per voce e piano (Nave di Teseo, in collaborazione con Betty Wrong Edizioni Musicali) è il progetto che unisce in un cofanetto il cd con le musiche interpretate dall’autore di Ancora e altri classici pop fra gli ottanta e novanta, e un libro scritto da Federico Vacalebre Storie del Canzoniere napoletano, che racconta le vicende che queste canzoni hanno attraversato. Musica, certo, ma fra le pagine del volume emergono anche i fermenti politici e sociali che determinarono prima l’ascesa e il successo e poi la ‘decadenza’, della Canzone classica partenopea. Da Fenesta vascia a Era de maggio e Munasterio ‘e Santa Chiara, ma anche tracce poco frequentate come Silenzio cantatore, De Crescenzo e Mazzariello portano il repertorio all’essenza nuda e assoluta e alla conseguente esaltazione della bellezza.

«AVEVO COMINCIATO a lavorare a questo progetto con una sorta di nostalgia – ha raccontato l’artista napoletano durante la presentazione milanese – la voglia di riscoprire i suoni della mia infanzia. Man mano che ci lavoravo però, vagliando tutti i materiali possibili, mi sono imbattuto in spartiti raffazzonati, testi sbagliati, esibizioni inopportune… questi artisti sono stati fraintesi e traditi, relegati nel folklore, manipolati da riletture superficiali e alla peggio ospitati come fratelli minori nel mondo della musica».

E SOTTOLINEA: «Furono in realtà innovatori geniali, inventando la canzone, come viene praticata oggi. Imposero un nuovo modo di cantare: fino ad allora si insegnava solo la lirica, inadeguata per questo repertorio. Il cantante di questo tipo di canzoni invece deve far vivere i versi più alti del poeta come fossero suoi, ed emerge una nuova figura: l’interprete. Si trattò di una vera rivoluzione culturale: questa musica uscì dai salotti colti dell’élite sociale e raggiunse il popolo. Ogni classe sociale ascoltava per la prima volta la stessa musica.  Abbiamo concepito questo lavoro per voce e piano. Queste canzoni nascevano così, e così si eseguivano nei salotti colti e nobili dell’epoca.  Julian Mazzariello ha fatto un lavoro emozionante e generoso: non solo nel seguire e riprendere il canto, ma entrando nel suono e nelle atmosfere dei salotti, sacrificando anche la sua vena jazz».