Roberto Fico e Luigi Di Maio hanno benedetto l’alleanza 5S, Pd, Leu per sostenere Gaetano Manfredi come candidato sindaco di Napoli del centrosinistra (oggi primo incontro tra l’ex ministro del Conte 2 e i partiti che lo appoggiano, al netto dei Verdi che si sono sfilati). Ieri al Foglio il ministro 5S Federico D’Incà ha sottolineato: «La nostra collocazione nel fronte progressista è stabile. Penso al bell’esempio della candidatura condivisa di Manfredi». Su questa linea è schierata la maggioranza dei consiglieri regionali campani. Ma il sì dell’ex rettore della Federico II aveva provocato l’immediata reazione proprio di una consigliera regionale, Maria Muscarà: «Manfredi ve lo votate da soli. No alle alleanze».

Dal lato dei dissidenti sono schierati anche i due consiglieri comunali 5S di Napoli, Matteo Brambilla e Marta Matano, che però hanno rischiato di scindersi scomponendo il Movimento cittadino in tre. Lo strappo è stato provocato, lunedì pomeriggio, dal comunicato che annunciava per ieri mattina una conferenza stampa con «i portavoce eletti in carica» per discutere «del programma comunale redatto in modo collaborativo dagli attivisti». Nota inviata dalla mail del gruppo 5S al comune.

Matano, però, non era stata coinvolta così lo stesso lunedì ha reagito via social: «Da un messaggio in chat ho appreso che alcuni attivisti hanno indetto una conferenza stampa. Non ne sapevo niente. Il percorso de La Napoli che vogliamo per la costruzione di un programma partecipato è cominciato su mia iniziativa nel 2019. Abbiamo continuato a tenere la barra a dritta, pensando che saremmo andati alle prossime comunali da soli» invitando quindi alla presentazione del programma (on line) sabato prossimo. Ieri ha chiarito: «La mia replica era agli attivisti che hanno voluto la conferenza stampa, non contro Brambilla che sabato parteciperà alla discussione sul programma. Il metodo non mi è piaciuto: se diciamo che non va bene il comportamento di una parte del Movimento, che fa interlocuzioni con i partiti senza consultarci, poi non possiamo fare lo stesso».

Brambilla e Muscarà ieri hanno liquidato lo scontro interno («è stata chiamata, come tutti, all’ultimo minuto») ed esposto le ragioni della rivolta: «Non siamo frammentati, il percorso del M5S è lo stesso del 2011 e 2016. La stragrande maggioranza ha sempre detto no agli accordi con altri partiti. Si è fatto votare su Rousseau perché i territori si schierassero rispetto alle alleanze non strutturali e adesso si dice che il Movimento è alleato con il Pd. È uno scavalcamento dei portavoce locali. Cercheremo di andare con il simbolo altrimenti dovranno dircelo legalmente».

L’opposizione a Giuseppe Conte («Non è iscritto al M5s») e anche a Fico è ormai radicale, unico punto di riferimento nazionale Di Battista. Il nodo è la titolarità del marchio M5S. Brambilla spiega: «Il simbolo è in mano a due persone, Di Maio e Casaleggio, ogni controversia la devono risolvere loro. La battaglia è nazionale, noi però vogliamo vedere qui fin dove si può arrivare». La pronuncia del Garante della privacy (l’associazione Rousseau «dovrà consegnare al Movimento i dati degli iscritti») ha rafforzato le posizioni dell’ala vicina a Conte.

«Se non ci metteranno nella condizioni di rappresentare i 5S – ha commentato Brambilla – ognuno farà la sua scelta politica, vedremo insieme se andare avanti lo stesso. Il candidato sindaco, eventualmente, si deciderà tutti insieme». E Muscarà: «La battaglia legale la faremo se ci sarà un’opposizione nel darci il simbolo. Per 4 anni sarò portavoce di Napoli del Movimento. Ci deve essere qualcuno che ci dica “tu sei stata eletta ma non hai diritto al simbolo”. Loro vogliono andare con Conte e saranno loro che avranno bisogno di un altro simbolo».