Ritratti di rivoluzionari e marchesi, briganti e signori, ballerine e donne del popolo sono alcuni dei soggetti fotografati tra il 1860 e il 1930 che fanno parte della straordinaria e ricca mostra che si inaugura oggi alla Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli, diretta da Mauro Giancaspro che evoca ritratti e profumi di un’epoca. Settant’anni di fotografia e ben diecimila ritratti testimoniano il tempo che fu con i costumi e i volti di una grande città. Facce e personaggi d’altri tempi, a cominciare dai primi anni dell’unità d’Italia fino agli anni del fascismo trionfante. Facce mai viste e inedite, in posa, studiata e attenta, per comunicare – attraverso la fisiognomia del personaggio – sentimenti, emozioni, situazioni. I ritratti, impressi prima su lastra e poi stampati su carta, parlano ancora oggi. Allora la foto non era cosa facile, bisognava sottoporsi a un rito e si andava dai fotografi dopo averlo pensato giorni e giorni e il fotografo eseguiva un’operazione tecnica e artistica che richiedeva sensibilità, intuito, psicologia, esperienza, familiarità con la luce del sole, insieme ad altri importanti elementi come l’occhio e la mano del fotografo, l’abbigliamento giusto, la pettinatura delle donne, lo sguardo comunicativo. Tutto diverso da oggi che, col cellulare e il tablet, sono tutti fotografi e spesso le foto sono senza espressione e senza grazia artistica.

La mostra sul ritratto utilizza materiale del Fondo del marchese Luigi Piccirilli (1889-1935), custodito alla sezione napoletana della Biblioteca Nazionale e dell’Archivio (recentemente rilevato con grande coraggio da Stefano Fittipaldi) Giulio Parisio, un famoso fotografo napoletano attivo dal 1919 che non si occupò di cronaca ma di ritrattistica e paesaggistica e fu fotografo di re e regine, e prima di premere lo scatto si intratteneva con i clienti, parlando a lungo per creare l’atmosfera adatta e mettere le persone a proprio agio per evitare pose innaturali. A distanza di tanti anni quelle foto non hanno perso nulla del loro fascino e sono documenti umani, storici, culturali e politici di notevole interesse in quanto offrono varie letture e uno spaccato della società napoletana a cavallo tra l’Ottocento e i primi decenni del Novecento. L’interessante e vivace galleria è uno specchio di donne e uomini di ogni condizione che si sono presentati davanti agli obiettivi dei fotografi napoletani per avere e per lasciare un’immagine di se stessi, da inviare ai parenti lontani, alla fidanzata o al fidanzato. Tra quei volti anonimi ci sono certamente molti emigranti che nei giorni precedenti l’imbarco per le Americhe passarono per quei studi fotografici, molti vicino al porto, per una delle ultime testimonianze italiane sul filo della memoria e della nostalgia per un paese che si abbandonava.

Nella sua vita il marchese Luigi Piccirilli, ispettore onorario della Sovrintendenza Bibliografica di Napoli e appassionato bibliofilo – racconta Rosa Rossi, curatrice della mostra e intelligente responsabile della sezione napoletana della Biblioteca Nazionale – ha collezionato circa cinquemila foto e alla sua morte, avvenuta nel 1935, gli eredi proposero l’acquisto al Ministero dell’Educazione Nazionale, che l’acquistò per trentancinquemilalire (il ministero sborsò venticinquemilalire e il Banco di Napoli le restanti diecimila lire). Da allora è la prima volta che i ritratti vengono tirati fuori dai faldoni e dagli album e il materiale è messo a disposizione del pubblico. La raccolta comprende fondi avuti in dono o acquistati presso gli studi fotografici della città ma spesso anche di altre città e all’estero come Roma, Firenze, Milano, Parigi, Berlino, New York, Mosca, Pietroburgo, Costantinopoli. Proprio da uno studio fotografico di Mosca proviene un inedito ritratto molto intenso dello scrittore Maxim Gorky. Tra i ritratti eseguiti negli studi fotografici napoletani sono da segnalare quelli dello scrittore Emile Zola, del musicista Giacomo Puccini, dell’on. Giustino Fortunato, di 29 briganti e brigantesse, di un giovane Enrico De Nicola, futuro primo Presidente della Repubblica Italiana, della bellissima scrittrice Amelia Rosselli Pincherle con un libro tra le mani, dell’attrice Eleonora Duse. Molti esemplari riportano a piè di foto e sul retro la riproduzione del marchio, la dedica autografa al destinatario anche se spesso è per il marchese Piccirilli che ha richiesto la foto. Tra i tanti album di diverso formato, con copertine in pelle o stoffa, c’è da segnalare quello che custodisce un’insolita, intrigante, curiosa e affascinante raccolta di ritratti di Donne celebri, come recita il titolo datogli dal marchese. Ne fanno parte attrici, cantanti, ballerine e anche turiste italiane e straniere, che visitavano la città partenopea e poi passavano dal fotografo per cogliere e immortalare la propria immagine.

Invece Assunta Torres, anche lei attenta studiosa della sezione napoletana, ci guida tra gli studi fotografici che, dopo la scoperta della fotografia nel 1839, si diffusero a Napoli, dove la fotografia suscita un grande interesse e molto stupore nel mondo scientifico. I primi studi fotografici sorgono tra il 1855 e il 1859. Nei loro ateliers i fotografi accoglievano la clientela e poi si passava al rituale della posa. L’esecuzione della fotografia è un momento magico e pieno di fascino. I primi ateliers fotografici sono di artisti stranieri, come i francesi Bernoud, Chauffourier, Grillet e i tedeschi Sommer, Rive, Conrad. Sembra che il primo studio fotografico napoletano sia di Alphonse Bernoud, che lo aprì in Via del Boschetto della Villa Reale e poi al n. 256 di Via Toledo. La Torres ce lo descrive come abile ritrattista, fotografo ufficiale della corte e della marina militare. In occasione del terremoto del 1857 fu sul campo e realizzò un’importante campagna fotografica in Basilicata. I fatti del 1860, la fuga del re da Napoli, lo portarono a bordo delle navi inglesi e francesi stanziate nel porto di Napoli. La sua ultima foto è del 1872 e riprende l’eruzione del Vesuvio. Anche Gustavo Eugenio Chauffourier veniva da Parigi e prima di arrivare nel 1870 a Napoli aveva aperto la Photographie parisienne a Palermo. Invece il tedesco Giorgio Sommer arriva dalla Svizzera: nel 1861 segue lo scontro di Gaeta e poi, per incarico del governo, documenta la repressione del brigantaggio. Agli stranieri seguono gli italiani e nell’Annuario Industriale, pubblicato nel 1865, vengono registrati ben quattordici studi fotografici, tra stranieri e non, operanti a Napoli. Tra i fotografi italiani la Torres ricorda Achille Maiuri, che si trasferì a Napoli da Foggia e, dotato di grande senso degli affari, rilevò lo studio fotografico del francese Bernoud con tutto l’archivio fotografico. Ricorda anche Francesco Pesce e i figli Ettore e Alfredo. Francesco ebbe anche premi internazionali, ma per la sua partecipazione come volontario in Lombardia, fu carcerato e punito con l’esilio dal regime borbonico. Nel 1862 il ritrattista Carlo Fratacci all’esposizione di Londra ricevette una medaglia d’oro. Giuseppe Luzzati della Fotografia Pompeiana avvia l’attività nel 1864 e il suo è il solo stabilimento fotografico che esegue «ritratti di notte colla lampada a luce magnesio e ritratti di grandezza naturale anche a tutta figura», come leggiamo in una pubblicità del Giornale di Napoli del 17 marzo 1865. Inoltre ha una macchina triscopica colla quale può eseguire «tre differenti ritratti della medesima persona, in una sola posa, contenuti in un biglietto da visita». A Napoli dal 1864 è attivo anche uno studio dei fratelli fiorentini Alinari.

Questa è un’altra storia di Napoli, che da oggi (l’inaugurazione è alle 16,30) al 18 giugno si può conoscere e ammirare alla Sala delle Esposizioni della Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli.