Si sono messi in marcia da piazza Garibaldi esibendo il manichino di un operaio Whirlpool sulla croce: erano in oltre 5mila ieri i lavoratori dell’industria e del terziario che hanno aderito allo sciopero proclamato da Cgil, Cisl e Uil per mettere sul tavolo del governo la crisi di Napoli e provincia. Mercoledì il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, aveva annunciato il ritiro da parte della multinazionale Usa della procedura di cessione dei sito napoletano di via Argine, dove si fanno lavatrici. Gli operai ieri erano sollevati ma non smobilitano: «Vediamo cosa succede – commenta Giovanni Fusco – ma l’azienda deve sapere che resisteremo un minuto in più di loro».

Claudia Ferri, coordinatrice nazionale Fiom del settore elettrodomestici, spiega: «Per una soluzione credibile occorre tempo per costruirla con il governo. Lo sciopero ha due obiettivi: rimettere all’ordine del giorno lo sviluppo del Mezzogiorno e costruire un nuovo accordo con la Whirlpool, in gioco non c’è solo Napoli. Dare un futuro agli operai partenopei significa mettere al sicuro anche gli altri siti». A Siena si lavora solo 4 ore a giorni alterni e a salario ridotto, a Comunanza i dipendenti sono scesi dai mille ex Indesit a 424, a Fabriano assistono alla fuga delle funzioni verso la Polonia. Infine, a Melano i 2milioni e mezzo di piani cottura, promessi a ottobre 2018, non sono mai arrivati.

LA CRISI NON È SOLO A NAPOLI ma il management ha pensato di poter procedere con la chiusura senza ostacoli: «Avevano 50milioni da recuperare – spiega Ferri -. Cedere Napoli, che ha impianti nuovi, potenzialmente frutta di più che un altro sito meno centrale e con strutture più vecchie. Inoltre, l’accordo raggiunto da Whirlpool con gli svizzeri di Prs prevedeva che, in caso di fallimento, la multinazionale Usa sarebbe tornata in possesso dei suoli. Un affare. Ma è saltato per la determinazione dei lavoratori». Eppure l’azienda ha provato in tutti i modi a piegare la resistenza degli operai: quattro giorni fa ha fatto trapelare ai dipendenti la notizia che il 4 novembre sarebbero arrivate le lettere con l’inizio della procedura di cessione. Il fronte però non si è spaccato così i vertici hanno deciso di cambiare strategia, tornando a trattare. C’è tempo fino a marzo per verificare se si potranno ancora fare lavatrici, come chiedono operai e sindacati, oppure toccherà a Invitalia trovare un acquirente. Ieri Patuanelli ha commentato: «È il prodotto che ha problemi di mercato, bisogna intervenire sul cambio di prodotto». Al Mise lavorano perché a Napoli rimangano gli elettrodomestici.

POI C’È L’INDOTTO WHIRLPOOL con circa 500 dipendenti. Da Montoro, in provincia di Avellino, ieri sono arrivati a Napoli gli operai della Pasell, settore gomma: fino allo scorso marzo erano in solidarietà, speravano di riprendere la produzione e invece si sono fermati a giugno, quando è cominciato il braccio di ferro sul sito di via Argine. Giovanna lavora da 25 anni alla ScameMed di Sant’Angelo dei Lombardi: «Facciamo gli oblo. Sono ottimista? Ni. Se vanno via le lavatrici da Napoli noi chiudiamo e un altro lavoro non c’è. La fabbrica dove era impiegato mio marito ha chiuso tre anni fa e lui un altro posto non l’ha trovato».

PRESENTI CON IL LORO STRISCIONE anche i dipendenti e il proprietario di un negozio di mobili di Ponticelli, il quartiere dello stabilimento Whirlpool. Da quando è cominciata la vertenza si rifiutano di venderne i prodotti: «Siamo a 200 metri di distanza, per noi quel sito è un orgoglio del rione. Siamo solidali con le famiglie e lottiamo con loro. Il nome del negozio non è importante, non siamo qui per farci pubblicità ma per fare la nostra parte».

A Ponticelli c’è anche uno dei 5 ipermercati Auchan campani: la sorte dei lavoratori è appesa a un filo dopo la cessione della rete italiana alla Conad. Spiega Luana Di Tuoro, segretaria regionale Filcams: «Tra Nola, Giugliano, Mugnano, Pompei e Ponticelli ci sono circa 1.200 dipendenti diretti. La Conad ha dichiarato 3.105 esuberi, temiamo che molti dei tagli saranno fatti da noi. Non siamo tranquilli neppure sulla modalità di cessione: in ogni punto vendita subentra una coop che poi trova un socio. Si tratta di un sistema di scatole dove potrebbero crearsi situazioni di illegalità a vari livelli, a cominciare dai rapporti di lavoro. Stiamo parlando di personale che già ora guadagna pochissimo: lo stipendio medio è 800 euro, molti sono a part time e vengono da lunghi periodi di cassa integrazione. I francesi di Auchan hanno svenduto la catena, il governo deve vigilare».

POI CI SONO I LAVORATORI casertani della Jabil: l’azienda Usa dell’elettronica ha annunciato il licenziamento di 350 addetti su 700, sarebbe la campana a morto di un settore una volta molto sviluppato in Campania. E, ancora a Caserta, quelli Firema: fanno veicoli ferrotranviari, da quando nel 2015 sono subentrati gli indiani della Titagarh hanno acquisito un solo nuovo cliente: «Sono arrivati nuovi vertici da Bombardier e Hitachi – raccontano –. Dopo 12 mesi di assestamento speriamo finalmente di rientrare nel mercato in modo competitivo».