Il commissario con il lanciafiamme alla fine non si è materializzato. Il sei giugno, a poche ore dall’ufficializzazione della sconfitta di Valeria Valente, candidata Pd al comune partenopeo fuori al primo turno, il segretario premier Matteo Renzi aveva indossato i panni del rottamatore decisionista e aveva decretato perentorio: «Napoli per il Pd è un baco, invieremo il commissario». Il posto che traballava era quello del segretario provinciale, ma rischiava di venire travolta anche la segretaria regionale. Contrari al commissariamento i consiglieri regionali Mario Casillo e Raffaele Topo, vicini rispettivamente a Luca Lotti e Lorenzo Guerini. Così le diplomazie si sono messe in moto e ieri, alla direzione nazionale, il commissario è sparito dalla relazione di Renzi. Magari arriverà, ma solo con il benestare del livello locale e quindi con agibilità limitata.

Qualche parola il premier ha dovuto spenderla comunque, visto il risultato horror dell’11% del Pd in città. Per non assumersi le responsabilità basta la premessa: «Quello delle amministrative è un dato difficile da decifrare. A Napoli non riusciamo a vincere, ma in provincia abbiamo vinto in sette comuni su otto, certo l’ottavo era Napoli» ripetendo così la linea sviluppata dal partito locale. L’importante è non intestarsi la sconfitta, a partire dalla coalizione con Ala: «Le alleanze si stringono a livello locale e il candidato si sceglie con le primarie, qui non c’è una chiave di lettura nazionale. Se mi si dice non andare a Napoli perché si perde, io ci vado perché non abbandono i candidati». Puntare sulla Valente è stata una decisione presa a Roma, basta però non ricordarlo.

Mentre a Roma Napoli finiva spazzata sotto il tappeto, Antonio Bassolino nelle stesse ore chiamava a raccolta i suoi al cinema Filangieri. Anche l’ex governatore comincia con la politica estera ma poi al centro del discorso finiscono le elezioni di giugno, di cui dà l’interpretazione opposta: «Renzi sbaglia quando dice “ancora discutiamo delle comunali?”. Quando si vota in centri importanti il risultato ha un valore politico forte. Certo non è in gioco Renzi, ma il partito sì». E su Napoli: «E’ una città mondo con una vena di ribellismo, più venivano i ministri più si perdevano voti. Napoli non può essere subordinata al governo. Il Pd è sull’orlo di un baratro morale e politico, come dimostrano le monete da un euro ai seggi delle primarie. Si è perso senza onore e dignità. A Torino abbiamo assistito a una sconfitta, a Roma a un disastro, a Napoli a una catastrofe».

Se dalla direzione nazionale si sceglie il silenzio, lasciando alle correnti locali la gestione del Pd senza scossoni, il lanciafiamme lo imbraccia Bassolino: «A Roma non hanno acceso neppure un fiammifero. Sarebbe stato doveroso che i segretari regionale e provinciale avessero scelto di rimettere il loro incarico, chiedendo l’apertura di una discussione nei circoli. Sarebbe stata una comune assunzione di responsabilità. Invece ognuno cerca a Roma il suo protettore». La segreteria regionale, riunita la scorsa settimana, ha sancito il ricompattamento delle varie anime. Il congresso, quando prima o poi ci sarà, li vedrà pronti a rinsaldare le loro posizioni.

Dal Filangieri arriva la replica: «Renzi ha detto di non volere caminetti. Il Pd non ne ha bisogno, servono gruppi dirigenti, anche a Roma, con persone capaci di discutere. I gruppi dirigenti locali e nazionali vanno rifatti d’accapo. Con il tesseramento così com’è nessun congresso è serio. Se non c’è una commissione di garanti sia interni che esterni che controllano con criteri oggettivi il tesseramento, il Pd non va da nessuna parte, langue e muore. Soprattutto i giovani ci hanno abbandonato».

Il futuro politico di Bassolino è nel Pd, lo sta costruendo per adesso dalla fondazione Sudd dove può cercare di aggregare anche chi è fuori dai dem. La prima sfida sarà riuscire a entrare nelle sedi ufficiali.