Autostrada per Napoli, l’uscita è quella col cartello nero, con il disegno della fabbrica e della nuvoletta color petrolio. L’odore è quello inconfondibile di qualsiasi città ospiti o l’abbia fatto in passato industrie pesanti nel settore idrocarburi. Siamo a Napoli est, a meno di 5 chilometri dalla Stazione Centrale, periferia orientale del capoluogo campano. Ex zona di raffinerie, ancora lontana da qualsiasi sviluppo economico possibile.

Il polo petrolifero, e quello che oggi ne rimane, è costituito da 345 ettari di cisterne, serbatoi, oleodotti, ex raffinerie, innestati nel tessuto tra i più urbanizzati d’Italia.

Trecentomila in tutto i residenti dell’area considerata a rischio di incidente rilevante tanto che Napoli Orientale è uno dei Sin, siti definiti di interesse nazionale. Ma nessuna delle bonifiche ipotizzate è partita. Il primo accordo di programma risale al 2007. Da allora ci sono state conferenze dei servizi, incontri operativi che di operativo non hanno mostrato nulla.

I numeri della disfatta li ha elencati ieri alla Camera il sottosegretario all’ambiente Silvia Velo, interpellata dal deputato M5S Roberto Fico: dal 2007 sono stati spesi poco meno di 2 milioni, di cui 500 mila all’Ispra e 1,2 alla Sogesid, che è la società controllata dal ministero dell’Ambiente che ha il compito di progettare e far eseguire le bonifiche. Ma come sono stati spesi, visto che il territorio non ha visto l’inizio della bonifica e che migliaia di cittadini vivono in condizioni ambientali e sanitarie drammatiche?

Da 30 anni, da quando cioè le raffinerie sono state spente (ma i depositi di carburante sono sempre attivi e funzionanti) i cittadini stanno aspettando risposte e l’unica azione che il governo ha rivendicato è la firma dell’accordo di programma del 2007.

Non solo. Quella di Napoli est è anche una storia di inerzia delle istituzioni locali: il sottosegretario Velo infatti ha spiegato che ben 25 milioni di euro erogati sono tornati indietro perché Regione e Comune di Napoli non hanno definito i progetti entro il 31 dicembre scorso. Termine scaduto per la burocrazia. Purtroppo permangono tutti i problemi della zona. Quelli non si prescrivono mai, anzi aumentano mese dopo mese.

 

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Frida, la mascotte del gruppo Facebook “Napoli est brucia”

 

Qualcosa, però, a Napoli est sta accadendo. E sta partendo dal basso. Ieri pomeriggio i cittadini sono stati chiamati a raccolta da un gruppo di giovani del quartiere, aderenti a varie associazioni, che in rete si incontrano sulla pagina “Napoli est brucia”. Nessuna bandiera politica: solo i cittadini che hanno deciso di pretendere un monitoraggio sanitario e che le bonifiche partano immediatamente.

L’assemblea tenutasi presso l’aula consiliare del Municipio è stata sta definita «il primo passo di un cammino per chiedere bonifiche, soluzioni concrete e immediate, e soprattutto un monitoraggio sanitario». Già, perché i cittadini di San Giovanni a Teduccio sanno benissimo che emergeranno dati preoccupanti. In quasi ogni famiglia c’è un caso di tumore, aggressivo, e in età giovanile. I dati ufficiali non esistono ancora, ed è quello che gli abitanti chiedono.

L’aria, il suolo, l’acqua di Napoli est sono letteralmente devastati, da decenni. Nei terreni e nelle falde acquifere si annidano sostanze pericolosissime: fenoli, cromo esavalente, piombo, nichel. Benzene, stirene, benzopirene, arsenico, piombo, mercurio, giusto per citarne alcune. È scritto nero su bianco nei verbali della conferenza dei servizi di maggio 2013. Sono inquinate anche le falde acquifere.

L’acqua dei rubinetti a novembre è uscita nera e oleosa. Puzzava di benzina, dicono i cittadini. Per 24 ore non l’hanno bevuta. Poi, in mancanza di informazioni e di ordinanze del sindaco, la vita è tornata regolare e quell’acqua è stata utilizzata per i servizi igienici, per cucinare, per dissetarsi. Con quali conseguenze? Non è dato sapere.

La magistratura antimafia ha sequestrato a dicembre beni per 240 milioni di euro alla società Kuwait. Sono l’equivalente del vantaggio economico che l’azienda petrolifera avrebbe tratto dal mancato rispetto delle norme in materia di trattamento delle acque oleose. Che finivano nel deposito fiscale senza l’opportuno processo di inertizzazione. Aggiungendo inquinamento a inquinamento. Danno ambientale a danno sanitario.

Per i cittadini è arrivato il momento di dire basta. «Napoli est brucia», hanno detto ieri in un’Aula gremita. Hanno raccolto firme e iniziato un cammino. Chiunque si candiderà a Napoli dovrà fare i conti con una bomba che sta già esplodendo.

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