Il Doriforo di Policleto, il Veltro Sallustro e il recordman Marekiaro con tatuaggi e cresta, ecco i tre eroi mitologici, leggendari o contemporanei, uno dietro l’altro, quasi sullo stesso piedistallo, che annunciano storie, campioni e trofei mai visti nella mostra Il Napoli nel mito, fino al 28 febbraio al Mann, Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Una scelta che ha fatto discutere, la mescolanza di vestigia prosaiche affianco ai saloni con la collezione Farnese e gli oggetti rinvenuti tra Pompei ed Ercolano eppure facilmente comprensibile in quel lavoro sull’identità cittadina, portato avanti dal direttore Paolo Giulierini (suggeriamo il prossimo tema, la lingua napoletana, da Boccaccio ai 99 Posse), proprio adesso che i ripetuti assalti gratuiti agli adolescenti mostrano la barbarie della violenza, l’altra faccia di una città che non vuole avere memoria. Proprio quei valori di riscatto, di appartenenza e di senso civico rivivono nell’epopea azzurra, “che oggi come allora difende la città”. Così nonni e nipoti ma pure gruppi di ragazze si soffermano sul progetto dello stadio sulla Litoranea e i tappi della birra con le foto dei giocatori, le magliette autentiche degli anni ’70 e riproduzioni di quelle più antiche, i calendarietti da barbiere e piatti in ceramica con la squadra, e poi tantissimi biglietti, giornali, trofei, manifesti per raccontare l’epopea azzurra, la squadra di calcio cittadina e la sua storia lunga più di un secolo, anche se la SSC Napoli viene fondata nel 1926 ed altre compagini si erano avvicendate tra Agnano, l’Arenaccia e l’Orto Botanico, le case delle squadre prima che il patron Ascarelli costruisse uno stadio tutto suo (purtroppo devastato dai bombardamenti e poi distrutto) al Rione Luzzatti, la misera periferia della quadrilogia di Elena Ferrante. E i giri intorno al rettangolo di gioco con funzione propiziatoria di Achille Lauro, ‘o comandante, armatore, sindaco monarchico e padre-padrone della società, che finiva il match “con le scolle (pezze di stoffa bagnata) in fronte” in caso di risultato altalenante.

Una straordinaria raccolta di cimeli, di testimonianze, di oggetti, memorabilia rare o meno grazie al paziente lavoro di due appassionati, Dino Alidei e Giuseppe Montanino, tifosi e feticisti partenopei fino all’osso (inventori dieci anni fa dell’associazione Momenti Azzurri su tutto lo sport napoletano), che hanno amato e messo insieme tutto il materiale che ruota intorno a una partita di calcio – abbonamenti, biglietti delle partite e ingressi di favore, visiera parasole, ventagli e cuscini di cartone con ampio corredo di dischi, giornali, manifesti, figurine, statuine. Si impara così che la tessera d’abbonamento della signora Giulia Mistretta -era il 1934- veniva addirittura corredata di foto. O che la maschera facciale in plastica di Maradona, assai somigliante, sembra venire dalle strisce di Diabolik. O che le tante canzoni sui campioni del pallone omaggiavano già Attila Sallustro, il cannoniere degli anni trenta, con le sue volate vertiginose tanto che “pure la zia Elisabetta tiene ‘ a Sallustro ‘ncopp a culunnetta”, come cantava Leo Brandi nel 1934. Mister Due Miliardi ossia Giuseppe Savoldi, baffuto idolo degli anni ’70, invece, inciderà alcuni 45 giri, e Tira….gol, non proprio indimenticabili, ben più importanti i 77 gol segnati nei quattro anni in maglia azzurra.

Il percorso espositivo è organizzato in sette stazioni che corrispondono ad altrettanti periodi cronologici della storia del club, e permette un itinerario attraverso i momenti più significativi della storia della squadra e della città, questo legame profondo tra il club e i suoi tifosi, quella febbrile passione “che rassomiglia al cielo e al mare” della capitale del mezzogiorno. Un vero e proprio viaggio nel tempo che ha inizio nei primi del Novecento, dal «Napoli prima del Napoli» dell’età pionieristica del calcio in città al Napoli boom degli anni ’60 col trio Canè-Sivori-Altafini a Ferlaino, dagli scudetti dell’epoca di Maradona negli anni ’80, alle vittorie dell’era De Laurentiis. Naturalmente c’è una multivisione con le foto in bianco e nero del primo dopoguerra, gli scugnizzi appesi ai tram per andare a Fuorigrotta e gli acquafrescai nei dintorni dello stadio, eppure immagini delle trasformazioni cittadine, dal Parco della Rimembranza agli obbrobbri cementizi del Vomero. E gol a raffica, quelli delle Coppe Italie conquistate (come sono piccole rispetto al Kantharos della Supercoppa di Doha) e quelli di Cavani, Lavezzi, Hamsik, Quagliarella, Pandev, tutti a colori, presi dalle Teche Rai. Ognuno può costruirsi il suo andamento personale, per esempio guardando le trasformazioni del ciuccio di Fichella, “trenta chaie e pure ‘a cora fraceca”, l’animale tutto malandato che rappresentava il Napoli al termine di una stagione catastrofica, con tantissime sconfitte e Fichella era un venditore ambulante di fichi freschi all’esterno dello stadio. O le altre personificazioni dell’asinello, ecco un ciucciariello di stoffa azzurra che fa il saluto romano con la zampa destra alzata nell’era fascista o un altro somaro ben più agguerrito e minaccioso, dipinto su una ceneriera promozionale o uno di legno, con gli arti tutti snodabili e un altro che quasi si diletta in un palleggio.

Un colorato cerchio di carta con i giocatori lungo il bordo, il programma dell’incontro col Santos di Pelè, gli eroici palloni di cuoio scuro con le cuciture centrali, i tacchetti di legno anni ’30, i gagliardetti celebrativi di rare partite, le palpitazioni dentro e fuori gli spalti della vivace tifoseria raccontate attraverso giornate e campioni indimenticabili, titoli dei giornali e slogan inventati. “Il calcio a Napoli rappresenta lo stato d’animo di un’intera città” coi suoi momenti allegri e tristi, in una perenne triangolazione tra un popolo, la squadra e il territorio, spesso diventando un esempio di capacità imprenditoriale e di successo, di fantasia e di bel gioco in una metropoli caotica dai mille problemi insoluti. L’entusiasmo per le traiettorie di un pallone e per la squadra cittadina è un filo emotivo che attraversa famiglie, amici e conoscenti avvicinando le generazioni e scatenando un pandemonio sonoro che fa tremare tutto il quartiere di Fuorigrotta, durante la musichetta della Champions League.