Non è la Napoli di Gomorra ma un territorio limitrofo, che lambisce ed è attraversato da quello dove ’o Sistema è legge. Ci trovi di tutto: investigatori privati a riposo che cercano di arrangiarsi per campare, colonie di immigrati che investono in patria quel che raggranellano qui, maghi sciupafemmine, camorristi spietati ma innamorati come adolescenti, cantanti neomelodiche che rischiano di piacere troppo al boss di turno, avvocati di grido e azzeccagarbugli, stelle della politica con la testa ai vertici della Regione e i piedi affondati nella melma. Ci trovi pure il sangue di san Gennaro e intorno alla mistica boccetta i fedelissimi da un lato e dall’altro gli scettici che si adoperano per svelare il segreto del fenomeno. È la Napoli di Enrico Caria, giornalista, regista e scrittore. Vale la pena di farcisi un giro, usando come guida il suo Indagine su un mago senza testa (Piemme, pp.264, euro 14,90).

Il florilegio di noir italiani ricorda per molti versi l’epoca d’oro e non dimenticata del western all’italiana. Anche in quel caso, a partire da una base imitativa, gli autori italiani erano riusciti a sviluppare un loro stile specifico, inconfondibile. Anche allora, pur in una produzione fluviale che presentava alcune cifre di fondo comuni, molti singoli autori spiccavano con un loro taglio assolutamente personale. Identica cosa si verifica ora nell’alluvione di noir «all’italiana».

Il «mago senza testa» è la vittima dell’omicidio che accende il plot. Il sospettato numero 1 è un ingegnere sfondato di soldi ma fornito anche di bella moglie irrimediabilmente infedele, finita nelle braccia del mago poco prima che il medesimo finisse decapitato. L’ingegnere in questione è anche il cavallo su cui scommettono i poteri criminali per prendere legalmente possesso della città e dell’intera Regione. Urge pertanto provarne l’innocenza.

L’incarico spetta a Willy Calone, ex private eye messosi a riposo, costretto a dividere la ragazza con un capo camorrista che se la gode a segare i cani in due, senza contare un boss persino più temibile dhe dalla galera in cui è rinchiuso ancora adora la reginetta del bel canto. La mela, già difficilmente digeribile, è anche avvelenata: Calone deve dimostrare che l’ingegnerone è innocente, ma va fermato prima che scopra chi ha privato dell’avvenente capoccia il mago spezzacuori.

Caria rispetta i canoni basilari del genere nella sua versione tricolore: tra i personaggi, le loro vicenda e la città in cui agiscono il nesso è strettissimo, molto più di quanto abitualmente non sia nel modello a stelle e strisce, che pure aveva fissato per primo il vincolo tra noir e realtà metropolitana. In Italia, quel vincolo è diventato ancora più marcato: il noir, spesso, è soprattutto un espediente per descrivere una realtà sociale particolare e locale. Caria racconta l’underworld di Napoli, e proprio perché evita di immergersi fino in fondo nelle stereotipo della «capitale di Camorra» ne restituisce un’immagine più reale e anche più mossa, meno ipostatizzata nel cliché di Scampia e Secondigliano.

Narrazione al presente, periodi accelerati, capitoli secchi e brevi: Caria padroneggia uno stile collaudato, che certo non è il solo a usare. Di suo aggiunge una cura invece quasi inedita per i dialoghi e per il parlato, lavorando su un incrocio efficacissimo tra dialetto e italiano che è indispensabile, ma anche molto difficilmente realizzabile, per chiunque voglia raccontare e descrivere un Paese dove la differenza tra la lingua parlata e quella scritta resta abissale.

Il risultato complessivo è un romanzo che somiglia più a un film blaxploitation che a un classico noir o a una crime story, una cronaca che rinvia alla Harlem di Chester Himes molto più che non alla Los Angeles di Raymond Chandler o alla New York di Ed McBain. Come nei grandissimi romanzi di Himes, il versante hard boiled c’è tutto, ma solcato da robuste venature comiche e a volte grottesche. Comprimari e comparse giocano una parte fondamentale nel perseguire l’obiettivo di un quadro corale, violento e colorato, nel quale Napoli finisce per risaltare come un solo enorme ghetto. Nel quale, come in tutti i ghetti, convivono tragedia e vitalità estreme.

Indagine su un mago senza testa è un libro che qualche effetto splatter lo concede, senza mai piegare verso la cupezza. Neppure ottimista però, al contrario. Nella Napoli di Caria salvare la pelle è l’unico lieto fine possibile. Pretendere di più, anche solo il fallimento di una turpe trama di potere, sarebbe chiedere troppo, e se qualche lestofante ottiene la meritata punizione è solo perché se ne occupa qualcuno magari meno ignobile ma anche più feroce e più cattivo. L’assenza di speranza però non debella la vitalità né l’allegria. Un cocktail molto napoletano, che a Chester Himes sarebbe di sicuro piaciuto.