Si sono presentati con la maschera di Pulcinella e la tuta rossa, mutuata dalla serie tv La casa di carta, all’ingresso della sede di Napoli della Banca d’Italia per protestare contro il governo del debito che schiaccia i municipi. Gli attivisti partenopei non sono stati gli unici a mobilitarsi: ci sono state azioni simili ad Atene e in una decina di città spagnole come Madrid, Barcellona, Granada, Malaga.

«Si tratta di un fenomeno che travalica i confini locali – spiega Mauro Pinto, che partecipa al percorso Napoli non si vende, sostenuto da Massa critica, Ndo e Usb – Soprattutto nei paesi dell’area mediterranea, i comuni hanno subito un processo di indebitamento a partire dalla crisi economica iniziata nel 2007, in particolare le amministrazioni che facevano fatica a recuperare fondi con la fiscalità locale a causa del Pil basso. Un meccanismo peggiorato dall’introduzione in Italia dei vincoli di bilancio, che hanno l’equivalente in Spagna nella legge Montero. La turistizzazione delle città è diventa un modo per ricavare profitti, ma produce anche l’allontanamento delle fasce popolari dai centri storici in modo violento».

La protesta a Napoli si è poi spostata presso Intesa Sanpaolo. L’amministrazione Iervolino sottoscrisse quattro Swap (derivati) con altrettante banche, tra cui il gruppo di Torino, lasciando gli interessi sul debito sulle spalle dei napoletani: «Viviamo in una città sotto ricatto, lo strangolamento finanziario innesca la svendita del patrimonio pubblico. Un meccanismo che può essere spezzato solo eliminando i vincoli dettati dalle politiche di austerità e utilizzando il default selettivo, cioè non pagando debiti ingiusti come gli interessi sulle speculazioni bancarie». A giugno gli attivisti terranno un audit pubblico con i lori esperti e l’amministrazione comunale.