La redazione del manifesto a Napoli abitava un garage nell’androne di un palazzo di piazza Bellini. L’aveva naturalmente trovato Francesca, con la sua usuale caparbietà.

Sempre a dire «che ci vuole» a chi le rappresentava i mille problemi di aprire una redazione cittadina di un giornale che è sempre stato una coriacea scommessa. Diventò il posto di tutti, si entrava e si usciva, si facevano lunghe riunioni di redazione, quando, sempre con caparbietà, riuscì anche ad allegare al giornale un foglio che si occupasse di Napoli, Metrovie.

Francesca assomigliava molto alla sua città, ne conosceva gli umori, gli imprevisti.

A Napoli, ci dicevamo, non si potrebbe mai parlare di razzismo, qui è solida la concezione che l’unica differenza tra gli uomini è tra chi ha e chi non ha. La sera si andava a mangiare nelle trattorie vicine, pochi soldi per un primo e un secondo.

La conoscevano tutti, perché riusciva a creare tracce profonde nel reale, come se le fosse estraneo il concetto che i progetti possono anche naufragare.

Tesseva entusiasmi che non sempre condividevamo, avevamo spesso opinioni discordanti sulla politica della città. Ha molto creduto nella prima candidatura dell’attuale sindaco, ci credeva anche questa seconda volta.
Era naturale con lei mettersi dalla parte di chi dice «come fai a non vedere i problemi, come fai a non vedere le incongruenze» anche se lei agiva questa esperienza senza dimenticare le mille cronache fatte da Pomigliano, o le mille manifestazioni a fianco dei migranti, o le mille volte che ha denunciato che il degrado nasce dalla mancanza di opportunità sociali.

Mi ha detto poco tempo fa, ora che di nuovo la lista del sindaco è appoggiata da esponenti del movimento, ora che si sta facendo solido il percorso di un «comune» che nasce e vive di moltitudini proprio a Napoli, dove in questi giorni sembrava di sentirsi vicini alla Barcellona di Ada Colau, «avevo ragione, no?» sorridendo per il colpo che assestava.

A ricordarsi le mille volte che ho incrociato questa sua attitudine, dilaga l’amarezza di una vita che invece le ha fatto conoscere gli ostacoli più duri.

Fino all’epilogo di questa malattia che ci ha portato via un po’ alla volta il suo sorriso, la sua curiosità, la convinzione di riuscire a scansare la morte anche questa volta.

Ci resta Alessandra, sua figlia, le cui prime parole pronunciate sono state «bella ciao, bella ciao ciao».