«Napoli non andrà in dissesto, anche se hanno pensato di averci dato la spallata finale» tuonava ieri il sindaco Luigi de Magistris, dopo una nottata molto tesa a Palazzo San Giacomo passata con i vertici amministrativi. Mercoledì erano arrivate cattive notizie da Roma, le Sezioni riunite della Corte di Conti hanno bocciato il ricorso del comune, confermando la sentenza dei giudici campani: l’amministrazione ha eluso il Patto di stabilità omettendo nel 2016 un debito di 114 milioni, contabilizzato solo nel 2017. Si tratta del contenzioso risalente al 1981: la struttura commissariale post terremoto 1980 ha lasciata inevaso un compenso pari a 89 milioni (su cui poi sono cresciuti gli interessi) del consorzio Cr8, che effettuò lavori non solo a Napoli ma anche nell’hinterland, un debito che dal governo è passato al comune nel 1996. L’amministrazione aveva fatto opposizione contro la decisione di considerare il comune unico ente deputato a pagare ma nel 2017 ha perso la causa perciò il debito è stato iscritto solo allora a bilancio.

«HO PARLATO FINO A NOTTE con i tecnici vedendo la loro rabbia – ha spiegato de Magistris -, questa vicenda è un attacco alla città e rischia di minare gli equilibri istituzionali del paese». Dall’insediamento del governo Gentiloni va avanti a Roma un tavolo tecnico per risolvere la questione. A settembre, con le elezioni in vista, si è bloccato tutto. Il 21 febbraio sindaco, assessori e consiglieri si sono presentati davanti Montecitorio per manifestare, il giorno prima erano arrivate nuove rassicurazioni ma, passate pure le elezioni, la firma dell’accordo non c’è stata. Per ora resta solo la disponibilità da parte dell’esecutivo ad accollarsi il 77% del debito. Intanto però la cassa del comune è bloccata, per la seconda volta, dopo il decreto ingiuntivo fatto partire dal consorzio.

«Qualcuno vuole farcela pagare perché abbiamo rotto il sistema e perché siamo arrivati in alto pur avendo un debito così pesante – sostiene de Magistris -. Metteremo in piedi una mobilitazione senza precedenti. La decisione di mercoledì è giuridicamente infondata». E ancora: «Non ci si rende conto dell’ingiustizia sociale che, per un cavillo formale, viene fatta pagare ai diritti e ai bisogni della città. Dobbiamo pagare non per colpe nostre ma per un debito del 1981, significa non avere i soldi per le politiche sociali, per i servizi, per riempire le buche e per gli autobus. Abbiamo ragione e l’Anci è mobilitata insieme a noi».

PER EFFETTO DELLA SENTENZA, il comune potrebbe subire una decurtazione dei trasferimenti statali pari alla passività accertata. Commenta l’assessore al Bilancio, Enrico Panini: «I debiti del governo Napoli li paga tre volte: la prima perché, fino ad ora, il governo continua a non riconoscere ciò che gli compete; la seconda perché questo opportunismo ci condanna alle attuali censure della Corte; tre perché, con il pignoramento, dobbiamo ricorrere agli anticipi che ci costano il 3% di interessi». I contatti con Roma proseguono, resta la speranza che vengano onorati gli impegni nonostante l’esecutivo sia a fine corsa: «Farò di tutto con Gentiloni perché risolva almeno il problema del blocco della cassa per poi affrontare il tema del debito, che attiene al parlamento e al governo – conclude de Magistris -. Chiederò ai deputati, in particolare a quelli napoletani, di fare in modo che si ponga fine a questa ingiustizia». Una richiesta diretta è per il 5S Roberto Fico: «Ci aiuti. Se lo fa, potrò dire che avremo cambiato insieme una stagione politica».

IL TEMA DEL DEBITO ingiusto verrà affrontato anche domani, quando arriveranno a Napoli Yanis Varoufakis e Benoit Hamon per lanciare con il movimento del sindaco, Dema, la nascita di un nuovo soggetto politico transnazionale in vista delle europee 2019. Sono attesi delegati da Danimarca, Germania, Francia, Portogallo, Polonia, Romania, Slovenia, Croazia. «Un unico programma in tutto il continente – spiegano gli organizzatori – per liberare l’Europa dalle politiche liberiste e oligarchiche. Una strategia coordinata che affronti le grandi crisi del nostro tempo: cambiamento climatico e migrazioni, evasione fiscale delle multinazionali e debito, lavoro e povertà crescente».