Molti applausi in sala, alla fine della proiezione per i giornalisti e un’accoglienza calorosa all’entrata di Nanni Moretti e del cast del film nella sala delle conferenze stampa.

Mia madre di Nanni Moretti è piaciuto, almeno questa è l’impressione che si avverte nei passaggi del Palais preso d’assalto dalla folla del week-end.

Lui, Nanni Moretti, arriva all’incontro con i giornalisti internazionali sorridente, gentile, la risposta pronta e l’umorismo delicato.

Alla «inevitabile» domanda sul cinema italiano risponde: «Sono molto contento che in gara ci siano tre film italiani e che il nostro cinema sia presente anche nelle altre sezioni. Mi sembra però sia ancora il risultato dell’iniziativa di singoli, registi, produttori, e non di un sistema complessivo che da noi continua invece a sembrarmi particolarmente distratto, e che presta poca attenzione al cinema come fenomeno artistico e industriale ».

Però non ci sono film di prima e seconda categoria: «credo che il ruolo del cinema sia fare buoni film, possibilmente innovativi così da non farci pensare ’ah, questo l’ho già visto 300 volte’. Ma ogni argomento può essere il soggetto di un buon film».

Torniamo a Mia madre, opera personalissima (e recensito su queste pagine in occasione dell’uscita italiana), sul quale, scherza Moretti, «quasi tutte le interpretazioni sono ammesse». Certo non è sicuramente discutibile che anche quest’ultimo lavoro sia un alternarsi di momenti allegri e drammatici: «i miei film hanno sempre entrambi questi aspetti. Non pensate a una strategia studiata a tavolino, è il mio modo di raccontare le persone e la vita in generale».

Nel caso di Mia madre è il racconto del dolore del lutto, della perdita. «Non solo è anche un film su ciò che resta tra di noi, vivi, su questa terra, delle persone che se ne vanno o muoiono. Libri, scatoloni, le lezioni di latino impartite dalla nonna alla nipote, i ricordi che gli ex alunni di nostra madre hanno e raccontano a Margherita e Giovanni, così da permettere ai due fratelli di avvicinarsi in modo nuovo alla loro mamma. È come se gli alunni gli comunicassero qualcosa di essenziale, a loro sfuggito». Al lutto, per Margherita, si sommano la preoccupazione del lavoro sul set, i problemi con la figlia, i sogni.

«Il tempo del film – continua infatti Moretti – è il tempo dello stato emotivo di Margherita, in cui tutto convive nello stesso momento con la stessa urgenza. Per cui se uno spettatore, assistendo a una scena non si rende subito conto se è realtà o fantasia mi fa piacere, perché il film è costruito su vari livelli».

Come nella conferenza stampa a cui Margherita si sottopone, Nanni Moretti osserva «magari in questo momento anche io provo quel sentimento di inadeguatezza». Ma il dubbio di Margherita di non saper più interpretare la realtà – dice – non è lo stesso: «quello di Margherita è un film politico, mentre nel mio ho affrontato la realtà da un altro punto di vista: quello emotivo».

Per quanto riguarda invece l’accoglienza che il pubblico internazionale riserverà al suo film, ed in che cosa potrà essere diversa da quella nostrana, si aspetta che «non ci siano interferenze di altra natura, che invece in Italia magari sono presenti. Qui, ed in generale all’estero, non pensano al mio personaggio pubblico, alle mie posizioni politiche, alle interviste e quante ne do… Vedono il mio film e basta».