Da molti anni Nanni Garella ha deciso di investire nel confronto e nella collaborazione con il collettivo Arte e Salute (nato dall’intesa dell’artista con in Dipartimento di salute mentale bolognese) il suo talento registico. Il suo antico apprendistato con Massimo Castri gli conferisce, tra i pochissimi in Italia, titolo ereditario della grande regia critica. Per questo suo più recente lavoro Li buffoni (andato in scena nei giorni scorsi all’Arena del Sole, per Emilia Romagna Teatro), Garella ha usato un canovaccio seicentesco di Margherita Costa, grande comica dell’arte dei suoi mitici tempi. Lo ha rielaborato e «ritradotto» nella lingua volgare dei nostri giorni, come i comici a loro tempo e modo facevano, dando corpo sulla scena agli schemi drammaturgici da cui partivano.

LO SPETTACOLO che ne è nato, meticcia senza inibizioni il senso, la parola e le sue indicazioni scritte (il testo di Margherita Costa ha incursioni dal forte accento ispanico, germanico e perfino turco), con il suono del linguaggio nostro di oggi. Non solo intreccio di dialetti ed origini regionali diverse, soprattutto meridionali, ma arricchito di accenti e lingue di altri popoli che naturalizzandosi qui hanno dato origine a una parlata che lo stesso Garella definisce non più «italiano» ma «italianato». Forse, insinua, perché oggi immigrati ci sentiamo un po’ tutti.

LA VICENDA ha uno schema antico quanto naturale: la seduzione il suo compiersi e consumarsi, ovvero delusione e dispetto per il mancato raggiungimento. Il tutto dispiegato e offerto senza ipocrisie e infingimenti, né verbali né comportamentali. Offrendo ai presenti (comprimari in scena o anche gli spettatori in platea) qualche brivido di sorpresa iniziale, per la trasparenza di allusioni e preparativi, come per la disinvoltura esplicita di brame, sotterfugi e quantificazione venale delle prestazioni richieste o promesse. È un gioco inarrestabile tra personaggi diversi: ricchi e nullatenenti, maschi e femmine di diversa oculatezza, consapevolezze e furbizie destinate a intrecciarsi. Presto però passa quasi in secondo piano lo sfacciato can can sessuale, per far emergere una lingua che pare inventata per quanto costruita dal puntiglioso flusso sonoro. Una fotografia, o un audio, panoramici e fedeli del mondo complesso che ci circonda.