L’angelo della storia vola sospinto dalla bufera, gli occhi spalancati sul cumulo di macerie davanti a sé. L’immagine di Walter Benjamin è abusata, ma rende il vorticoso movimento energetico, e insieme la lancinante fissità orrorosa, dell’opera letteraria e visiva di Nanni Balestrini. Il quale del resto aveva eletto un emblema aereo, negli anni Settanta, a controfigura allegorica: la «signorina Richmond», androgino travestimento della Poesia e della Rivoluzione. E come Benjamin s’ispirava all’Angelus Novus di Klee, così Balestrini s’ispira alle Figure di Baruchello inscatolate: quel Baruchello che illustrerà, nel ’77, la prima raccolta delle «Ballate».

ORA IL CICLO – raccolto in altri tre libri, sino al ’92 – riempie tre quarti del secondo volume delle Opere poetiche di Nanni, Le avventure della signorina Richmond e Blackout (DeriveApprodi, pp. 509, euro 25, con attenti quanto partecipati paratesti di Cecilia Bello Minciacchi).
E sempre più emerge il valore di testo a fronte che delle aeree immagini poetiche sempre hanno, in Balestrini, le terrestri immagini dell’arte: dagli amici Fontana a Schifano alle opere più canoniche della tradizione. È allora una mise en abîme (alla Mudima di Milano, fino a domani, a cura di Manuela Gandini) la ricca personale dei lavori appunto visivi di Nanni, risalenti agli stessi anni Settanta e Ottanta, con un titolo – Vogliamo tutto – che rinvia a quello più celebre della sua opera letteraria. Vi scorrono i fotogrammi di un film convulsivo, al tornante fra gli anni delle Lotte e dei Terrori e quelli delle Sconfitte e degli Esilî. Come nell’immagine spettrale dell’attacco di Settembre Nero a Monaco 72, in Les terroristes (del 1983): un uomo incappucciato guarda nel vuoto, sporgendo da una struttura di cemento come nella Jetée di Chris Marker.

ALLO STESSO MODO, nel libro, alle Ballate si aggiungono – col loro stesso valore di «cronaca» del nuovo medioevo di quegli anni, tra antipsichiatria, moti di piazza, poi trionfo della «cultura spettacolo» nei «magnifici anni 80» («professionisti di massa / di merda che lavorano per le masse di merda») – due splendide rarità verbovisive: Non capiterà mai più, del ’72, e Vivere a Milano del ’76 (dove le foto omonime di Aldo Bonasia accompagnano a distanza i frammenti di cronaca). Il ricchissimo volume DeriveApprodi si conclude, poi, cogli assoluti capolavori poetici di Nanni: Blackout (nell’anniversario della persecuzione e della fuga rocambolesca, con dedica ai «compagni perseguitati il 7 aprile 1980») e Ipocalisse del 1986 (ma composto durante l’esilio in Provenza, fra lo stesso ’80 e l’83). Il primo è un «iconotesto», come oggi si definiscono i lavori verbovisivi nei quali immagine e parola compongono insiemi felicemente insubordinati. Il secondo una corona di 49 «microsonetti» (così Bello Minciacchi) di versi brevissimi, come nella bellissima serie «Cieli».

I DUE LIBRI fanno un chiasmo: se quello «illustrato» mette a tema l’oscuramento e la cecità procurata (tanto più violenta quanto più lo sono le sue immagini, come quella terribile del cervello di Giannino Zibecchi sul selciato, a Milano nel ’75), quello «nudo» evoca paesaggi del più topico repertorio poetico (dalla Valchiusa di Petrarca a Finisterre di Montale) e artistico (la Montagna Sainte-Victoire di Cézanne): «parole-colore», per Niva Lorenzini, tanto più visionarie quanto più deprivate di immagini («la montagna / non si vede»).
Ma non attende gli anni Ottanta, il Balestrini artista, per lavorare sulle immagini del passato, scomposte e ri-composte come fa con le parole, da sempre, nelle sue poesie.

RISALE AL ’64 la serie I maestri del colore, presa dalla popolare collana omonima: nella quale per esempio La bella Nani del Veronese si vedeva rivestita di parole e immagini a collage. Il suo ultimo, magnifico lavoro pittorico torna su questa maniera con La Tempesta Perfetta (già due anni fa a Venezia, alla galleria Michela Rizzo, e ora – a cura di Achille Bonito Oliva, in collaborazione con la Fondazione Luigi Bonotto – al Macro di Roma fino al 17 aprile), che «lavora» un unico esemplare della tradizione: La tempesta, appunto, del Giorgione. Dalle Scomposizioni – che frammentano l’immagine intarsiandola dei versi della Tempesta di Shakespeare – all’Implosione – che vi sovrappone facsimili di dollari e frammenti del Pound di Contro l’usura – l’immagine è portata a rappresentare i flutti della Crisi finanziaria nei quali tuttora annaspiamo.

SPLENDONO, alla fine del percorso, otto grandi arazzi dal titolo Eden: nei quali, come già della montagna di Cézanne, non si riconoscono più le forme dell’originale ma ne vengono ripresi i colori primari.
Qui lampeggiano le parole del Genesi: cioè, come indicò sempre negli Settanta un saggio di Salvatore Settis, il nucleo d’ispirazione di Giorgione, che con quel flash enigmatico alludeva alla cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre. Ancora una volta l’Esilio, dunque: a sintetizzare le perdite – di patria, di passioni, di senso – sulle quali, esuli e raminghi, tutti quanti non possiamo che fondare le nostre esistenze.

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l libro di Nanni Balestrini «Le avventure della signorina Richmond e Blackout» verrà presentato alla Fondazione Mudima (Via Tadino 26, Milano) oggi alle ore 18. Intervengono con l’autore Cecilia Bello Minciacchi (che ha curato i paratesti del volume), Daniele Giglioli, Milli Graffi e Antonio Loreto; seguirà un reading da «Blackout» con la regia di Franco Brambilla, musiche di Demetrio Stratos, con Silvano Piccardi, Gianni Calò, Barbara Nicoli e Pina Irace.