Non era certo nelle intenzioni di Nico Naldini che il titolo del suo ultimo, bellissimo libro – Quando il tempo s’ingorga (Ronzani Editore, pp. 223, euro 20,00) – apparisse così attuale, da far invidia ai mille opinionisti che con interventi spesso inutili stanno accompagnando il tamtam di dati, piani e contropiani sulle pagine dei nostri quotidiani. Né nel pensiero dell’«osso di seppia» di Montale, da cui il titolo è tratto: «Quando il tempo s’ingorga alle sue dighe / la tua vicenda accordi alla sua immensa, / ed affiori, memoria, più palese, / dall’oscura regione ove scendevi» (Delta).

Se anche in questi pezzi più recenti il piglio di Naldini (classe 1929) è tanto fresco, agile anche nelle malinconie, è forse perché ‘memoria’ – ancora, sempre intrecciata alla vita dei sensi – è la sua musa già fin da un tempo più libero e corrente: non solo nelle altre sue due raccolte di «racconti biografici e autobiografici», Alfabeto degli amici (2004) e Come non ci si difende dai ricordi (2005), ma anche nelle ariose biografie di Comisso, Pasolini, De Pisis, fatte di ricordi personali, testimonianze dirette, affinità, fraternità (Il solo fratello è intitolato il suo «ritratto di Goffredo Parise»), oltre che di studio, documenti, ricerche d’archivio.

Sul traghetto di Caronte

Quanti di questi ricordi – e il lieve stormo d’aneddoti che essi riportano – siano nuovi per tutti o solo per me, inediti solo in parte o nient’affatto, naturalmente non ha la minima importanza. Che Gadda fosse ghiotto di gnocchi («i gnocchi: io non riesco a dire gli gnocchi») l’avevo già letto in Gadda e le primizie di stagione, un pezzo di Alfabeto degli amici più breve e solo a tratti coincidente con quello (parimenti gastronomico: A colazione con Gadda) che si ritrova qui: e non ho dubbio che i gaddisti – una confraternita altrettanto rigorosa e spesso meno laica di quella dei biblisti – potrebbe citarne molte altre fonti; nessuna però tanto saporita. E chissà se al quasi altrettanto agguerrito manipolo di studiosi di Sereni sono già note le due lettere (20 settembre ’61 e 2 giugno ’76) «riapparse miracolosamente dopo anni d’oblio e disordine» fra le carte di Naldini: «sono tra i fogli che mi infilerò in bocca al posto della moneta» per pagare Caronte. «Col loro ritrovamento, Vittorio mi ha teso una mano dall’aldilà».

A proposito di passeggeri sul traghetto di Caronte, proprio non sapevo che Cadaveri eccellenti, il titolo della pellicola che Francesco Rosi trasse dal Contesto – «che va bene per i lettori di Sciascia, ma avrebbe fatto scappare gli spettatori del film» – si dovesse a un’intuizione di Naldini: «Le scene a cui avevo assistito nelle fasi della lavorazione mi avevano immesso in una sorta di rappresentazione della crudeltà surreale. E così ho pensato di adattare il titolo a un vecchio motto surrealista. “Perché no?”, mi disse Sciascia quando gli telefonai. Si era subito ricordato dei cadavres exquis di Breton e compagni».

E voglio anche segnalare, in tema di cinema, le tre paginette Un problema filologico: Sergio Citti. Il «bel problema» consistendo nella quasi impossibilità «di individuare nel complesso dell’opera di Pasolini, le suggestioni, le battute, i contorcimenti fantastici di Sergio»; l’arguzia implicita, nel fatto che, anche quando lo stesso Citti passò dietro la macchina da presa, la critica spicciola s’accontentò di definirlo un naïf e lì fermarsi. Problemi filologici proprio non sembrava porne, neanche da autore. Così «ci voleva forse un grande critico per individuare in Citti la raffinata continuazione della tradizione romanesca e questi fu Mario Praz che su Storie scellerate scrisse uno dei suoi mirabili elzeviri. / Quando lo feci leggere a Sergio egli dichiarò su Praz: “Embèh, chi è?” / Cercai di fargli sapere che per lui era un trionfo culturale».

Chi conosceva assai bene Praz era, invece, un altro Sergio di cui Naldini rievoca l’amicizia, importante anche se soprattutto telefonica: Sergio Ferrero. «“Non ho paura di morire” mi disse in una delle sue ultime telefonate. La cultura aveva posto salde basi nel suo animo ed era il momento di dimostrarlo col riconoscimento del destino. Non per antico stoicismo, ma per il sentimento moderno della dissoluzione; con forse un po’ di speranza nella resistenza a scomparire dai libri che aveva scritto». Umbratili e reticenti, i romanzi di Ferrero (molto ‘a writers’ writer’, come si dice in inglese): Il giuoco sul ponte (1971), La valigia vuota (1987), Le farfalle di Voltaire (2000) e molti altri, stanno ancora aspettando il momento propizio di tornare in libreria. Che verrà, ne sono certo. Intanto, dopo la sua morte nel 2008, sono state raccolte in volume le «bellissime traduzioni» che Ferrero leggeva al telefono all’amico di Casarsa, «da poeti francesi, inglesi e anche tedeschi come Heine» (Passeggero bendato. Tra noi sedeva amore, Sedizioni 2015); mentre, da Archinto (2013), è pubblicato il carteggio con Umberto Saba, di cui Ferrero era stato discepolo appena ventenne (sessant’anni più tardi – ricorda Naldini – «mi salutava dicendo di essere felice di aver conosciuto “prima Saba e poi te”»).

Il Pinocchio di Francesconi

Illustrato da cinque disegni di Olimpia Biasi (ritratti di Penna, Gadda, Contini, Citti e Morandi) e curato con essenzialità da Francesco Zambon, Quando il tempo si ingorga è il secondo volume di una nuova collana – ‘Alfabeto’ – diretta da Franco Zabagli per i tipi elegantissimi eppure affabili, per nulla intimidenti (neanche nel prezzo!), dell’editore vicentino Ronzani.

A inaugurare la collana, un classico dei classici: Le avventure di Pinocchio, «con le figure» del pittore viareggino Mario Francesconi: più di cento, quasi tutte a piena pagina a colori, infinitamente variate – ma sempre e solo ritratti del burattino. Della ricchissima tradizione iconografica di Pinocchio io proprio non mi intendo (né di questi tempi ingorgati saprei come procurarmi il bel catalogo d’una mostra di qualche anno fa presso la Biblioteca Sormani a Milano: Infinito Pinocchio, a cura di Matteo Luteriani, Luni Editrice 2015), ma non sarei stupito di scoprire che Francesconi è il primo e unico artista che non ha ceduto alle mille tentazioni della storia: non un gatto, non una volpe, neanche un grillo o un asinello, neanche la balena… eppure che girandola di invenzioni! Troppo scontato, ma come si fa a evitarlo? anche questo Pinocchio figurato (pp. 302, euro 22,00) va comprato, è veramente «un libro parallelo».