Venticinque anni fa la guerra del Nagorno-Karabakh conosce una delle sue pagine più drammatiche: il massacro di Khojaly. Siamo nel 1992 e il Caucaso del Sud – fino a poco prima una delle zone più economicamente sviluppate dell’Urss – è ormai allo sbando.

Mancano gas, acqua, cibo, manca tutto, mentre Azerbaigian e Armenia, da poco indipendenti, si fronteggiano per contendersi un fazzoletto di terra: il Nagorno-Karabakh. Gli armeni avanzano, conquistando un territorio a maggioranza armena che dai tempi di Stalin ad oggi è – almeno ufficialmente – parte dell’Azerbaigian. Stepanakert, città principale della regione, è sotto il costante scacco dell’aviazione e dell’artiglieria azera che colpiscono postazioni militari, abitazioni e persino ospedali.

Uno degli avamposti da cui partono i missili Grad è proprio Khojaly, ormai isolata. Gli armeni decidono di agire, e lo fanno abbandonandosi a loro volta alla violenza più cieca. La data non è casuale: il 26 febbraio di quattro anni prima aveva avuto luogo il pogrom della città di Sumgait, dove decine di armeni erano stati uccisi. Una strage annunciata, quella di Khojaly. Saranno gli stessi residenti azeri a raccontare come per giorni gli armeni avessero inviato messaggi via radio chiedendo di evacuare la città. Gli azeri si oppongono: troppo importante la posizione, anche a costo di mettere a rischio la vita di migliaia di civili.

Siamo ormai in una spirale di violenze da cui non si sottraggono neanche gli armeni. Come affermato con cinismo dal presidente armeno Sargsyan: «Prima di Khojaly, gli azeri non credevano che gli armeni fossero in grado di levare la loro mano sulla popolazione civile. Dovevamo mettere fine a tutto questo. Ed è ciò che avvenne».

Gli armeni chiudono su tre lati la città in piena notte. I civili, spaventati, si danno alla fuga. Alcuni muoiono di freddo, altri uccisi da un gruppo di guerriglieri che li sorprenderanno nei pressi del villaggio di Nakhichevanik. Secondo un’investigazione parlamentare azera saranno 485 i caduti, ma le stime variano di molto a seconda delle fonti.

Oltre un migliaio di persone saranno fatte prigioniere. Il ricordo dei morti di Khojaly è una delle più dolorose ferite in questa guerra dimenticata. Solo nel 2016 si sono avuti centinaia di morti da entrambe le parti, inclusi civili. Una guerra infinita che, per sopravvivere, si nutre di odio e proclami. La strage di Khojaly è oggi strumento propagandistico.

L’Azerbaigian, come l’alleato turco, nega la realtà storica del genocidio armeno e cerca il riconoscimento internazionale di quello che definisce il «genocidio» di Khojaly.
Diversa l’interpretazione degli armeni, fermi nel sostenere un’altra versione dei fatti.