Coltivato all’ombra dell’ala protettiva di uno dei massimi conoscitori d’interni di famiglia made in Usa, come James Brooks (qui produttore esecutivo), 17 anni (e come uscirne vivi) è un teen movie fresco e sorprendente, che deve più alla vecchia tradizione del cinema da studio che alle digressioni idiosincratiche e fronzolute di certe produzioni indie. Un romanzo di formazione non nella vena diabolica, bitchy, di Heathers e Mean Girls, o in quella esplosiva di Spring Breakers, ma secondo il canone lirico, intimista, letterario, di Perks of a Wallflower, Say Anything, Fast Times at Ridgemont High e dei film di John Hughes. Aiuta questa dimensione quasi diaristica il fatto che la protagonista del film, afflitta da una giaccavento orribile, dalla brutta abitudine di indossare calze di nylon velate con le high tops e dalla lingua tagliente di un’eroina da screwball, sia una ragazzina ipersolitaria e ipercritica.

Interpretata da Hailee Steinfeld (scoperta dai Coen in True Grit), Nadine fa un’entrata in scena drammatica, annunciando al suo professore di storia (Woody Harrelson), che intende suicidarsi. La conversazione, condotta dai lati opposti della cattedra, in una classe deserta, potrebbe avvenire tra Kathryn Hepburn e Spencer Tracy, con lui che gioca al rialzo sulle iperboli di lei. È il modo ideale per entrare nel film – che, a partire di lì si snoda in flashback- ma soprattutto dentro a Nadine, che è cerebrale e insicura quanto appassionata, che vive ogni piccolo movimento del mondo intorno a lei con l’intensità di un gigante. E gli effetti di un elefante in una cristalliera.

A casa, da quando il papà è mancato, la mamma (Kyra Sedgwick) ha poco tempo ed è sempre stanca. Suo fratello maggiore Darian – un jock salutista che eccelle in tutto ed è pure simpatico – la mette in continuo stato di inferiorità. A scuola ha un’unica amica, Kara, e nutre una cotta segreta per il vanitoso Nick.

Ma l’unico maschio con cui riesce a parlare ogni tanto è un nerd come lei, Erwin. La sceneggiatrice/regista esordiente Kelly Fremon Craig sceglie la distanza giusta per osservare questo ennui da liceo – mai troppo vicino da renderlo caricatura, o troppo lontano da renderlo freddo. È un ennui che assume i toni della tragedia greca quando Kara e Darian si mettono insieme, e lei smette di rivolgere la parola ad entrambi.

Improvvisamente in guerra con (tutte) le ingiustizie del mondo, Nadine, dà, allo stesso tempo, il peggio e il meglio di sé stessa. Fremon Craig, che cita tra le sue ispirazione The Breakfast Club e che, dopo aver fatto leggere la sceneggiatura a James Brooks, ha passato due anni a riscriverla intervistando teen ager per coglierne la lingua giusta, non ci risparmia nulla del pessimo carattere della sua protagonista. E alla fine, in questo saggio film sull’adolescenza, i mulini a vento di Nadine non sono poi così diversi da quelli di tutti noi adulti.