Anche la politologa Nadia Urbinati ha lasciato il gruppo dei saggi al lavoro sulle riforme istituzionali. Le sue dimissioni sono arrivate ieri mattina con una email indirizzata al ministro delle riforme Gaetano Quagliariello, quando mancano pochi giorni alla conclusione del mandato della «commissione dei 35», ora «dei 33» dopo che a luglio si era già dimessa la costituzionalista Lorenza Carlassare. Se Carlassare lasciò in polemica con la maggioranza delle larghe intese, dopo che il Pdl aveva ottenuto lo stop ai lavori parlamentari come reazione alla fissazione dell’udienza di Cassazione (quella che avrebbe poi condannato Berlusconi), Urbinati adesso attacca direttamente Quagliariello per le sue uscite pubbliche in difesa del Cavaliere. Il ministro ha accusato il Pd di aver «delegato la sovranità alla magistratura», ha messo avanti alla sentenza «il diritto di sette milioni di elettori del Pdl alla propria leadership» e ha paragonato la giunta per le elezioni del senato che dovrà votare sulla decadenza del Cavaliere a «un plotone di esecuzione».
Professoressa Urbinati, perché ha deciso di dimettersi a pochi giorni dalla fine dei lavori della commissione dei saggi?
Ho scritto al ministro criticandolo per aver espresso opinioni e usato argomenti che non si adattano al suo ruolo di presidente della commissione per la riforma della Costituzione. Opinioni e argomenti, gli ho scritto, che secondo me rivelano «una concezione delle istituzioni tesa a favorire, o a non nuocere, il potere di un leader di partito piuttosto che le ragioni del diritto e dell’uguaglianza del cittadino davanti alla legge».
E tanto le è bastato per dimettersi?
Sì, perché con queste prese di posizione il ministro Quagliariello ha messo in discussione la legittimità stessa della Commissione che lui, in quanto presidente, rappresenta.
Aveva già avuto occasioni di polemica con il ministro?
No. Devo riconoscere che fino all’ultima settimana era stato un buon presidente. Ma adesso è andato molto al di là del suo ruolo. Avrebbe dovuto evitare certe prese di posizione, almeno fino a che la commissione è insediata. Ha parlato di «plotone di esecuzione». Ha perso di credibilità.
Sarà che nel Pdl è scattato un richiamo alle armi che ha costretto a schierarsi anche il ministro, solitamente prudente?
È probabile, ma questo doveva restare un problema suo. Avrebbe potuto rifiutarsi, la situazione di Berlusconi del resto la conosceva anche prima di avviare la commissione e presiederla. Avrebbe dovuto contenersi visto il suo ruolo istituzionale. A questo punto per me non ha giustificazioni.
A questo punto è pentita di aver accettato di far parte dei saggi?
Non sono affatto pentita. È stata un’esperienza comunque positiva. In genere considero interessanti questo tipo di organismi consultivi. La commissione è composta da personalità non prezzolate e dunque libere. Che presenteranno le loro riflessioni e le loro proposte di riforma senza un obbligo di sintesi. Abbiamo espresso posizioni diverse, e sulla legge elettorale non abbiamo approfondito.
In realtà è previsto un documento finale al quale stanno lavorando i saggi «redattori», il ministro e Luciano Violante.
Non è un incarico che abbiamo dato in Commissione, Violante sarà stato scelto dal governo.
Pensa che le riforme costituzionali si faranno?
Non credo proprio. Tra le parti non c’è fiducia reciproca. Non c’è alcuna base comune.