Anche nell’unico Paese dell’Asia meridionale e sud-sudorientale che – con Laos e Timor Est – può vantare assenza di Covid-19, l’ansia della sua apparizione si insinua sottile come il virus e l’apparente salvaguardia dal male del secolo da oltre 200mila ammalati sembra a qualche maligno osservatore dovuta soprattutto ai pochissimi test eseguiti – un paio di centinaia – in una situazione dove l’esplosione del virus farebbe collassare la fragile struttura sanitaria locale.

L’ambasciata britannica ha scelto Facebook per consigliare ai sudditi di Sua Maestà di lasciare il Myanmar il più rapidamente possibile per quanto in molti si chiedano se non sia meglio restare che entrare nel calderone malamente mescolato da Boris Johnson.

Del resto, un nuovo monito dell’Oms ha appena strigliato gli undici Paesi della regione: molti hanno pochi casi mentre altri sono in difficoltà per l’arrivo – tardivo – del virus o per il risorgere dei contagi anche in nazioni che erano riuscite a contenerle.

Poonam Khetrapal Singh, responsabile per l’Oms della regione, ha sottolineato che sono “confermati più gruppi di trasmissione di virus” e che alcuni Paesi hanno già adottato “misure aggressive” ma che si deve fare di più: “rilevare, testare, trattare, isolare e tracciare i contatti”, avvertendo che “praticare il distanziamento sociale non sarà mai enfatizzato abbastanza” e che questo solo “ha il potenziale per ridurre sostanzialmente la trasmissione”.

Il nuovo campanello d’allarme sembra collegato soprattutto al caso malese: quando un 34enne che aveva partecipato a un evento religioso a Kuala Lumpur è morto, i riflettori si sono accesi sugli effetti di una quattro giorni di preghiere e sermoni svoltasi tra il 27 febbraio e il 1 marzo nel complesso della moschea di Sri Petaling, base in Malaysia della Tablighi Jama’at, associazione per la diffusione della fede e movimento missionario purista e ultraortodosso.

All’evento avrebbero partecipato 16mila persone, tra cui 1.500 stranieri, e dei circa 800 casi del Paese (i numeri sono in ascesa), quasi due terzi vengono collegati all’incontro anche se non si sa chi sia stato il primo a diffondere il contagio.

Il problema è che i fedeli venivano da una decina di Paesi: Canada, Nigeria, India, dalla stessa Malaysia. Ma anche da Cina e Corea.

Molti Paesi hanno già imposto misure draconiane e la Malaysia – come le Filippine che hanno sigillato l’arcipelago o lo Sri lanka dove si è verificato uno dei primissimi casi fuori dalla Cina – impongono severi controlli alle frontiere.

Sembra però non bastare perché Paesi che sembravano controllare o rallentare i contagi (Corea del Sud +93, Singapore +47, Taiwan +23, Hong Kong +13) vedono una risorgenza del virus.

Le polemiche investono anche l’India dove le autorità non hanno intenzione di estendere i test come fa la maggior parte delle nazioni colpite: l’India si limiterebbe a meno di un centinaio al giorno pur avendo la capacità di farne 8mila.

Secondo Associated Press, solo 11.500 test sarebbero stati condotti in un Paese che ospita quasi un miliardo e mezzo di persone.