Dopo una settimana di protesta, ieri la polizia birmana ha pensato di passare all’azione. La protesta degli studenti contro una restrittiva legge sull’istruzione è stata dispersa a bastonate e con oltre cento arresti nella città di Letpadan, a 130 chilometri dall’ex capitale Rangoon.

Si tratta di scene, che – come hanno riportato le agenzie internazionali – hanno ricordato la repressione dell’ex dittatura militare, e che gli esperti interpretano come una conferma dei passi indietro della «nuova Birmania» dopo le aperture democratiche degli ultimi anni.

La situazione è precipitata poche ore dopo quello che sembrava un lieto fine, con la polizia che aveva accettato di far proseguire i circa 200 studenti verso Rangoon a bordo di alcuni veicoli. I giovani hanno però rifiutato di accettare la condizione di farlo senza bandiere, né slogan. Gli studenti protestano contro una nuova legge sull’istruzione accusata di limitare la libertà accademica e di associazione studentesca, centralizzando ogni decisione.

Le loro manifestazioni hanno finito per assumere un ruolo simbolico più ampio, perché il malcontento popolare in Birmania è stato spesso espresso per primo dagli studenti, come nelle proteste pro-democrazia del 1988 soffocate nel sangue.

I motivi di risentimento della popolazione non mancano, dall’aumento del costo della vita alla povertà che ancora affligge gran parte dei birmani; in queste settimane si sono anche verificate proteste operaie per l’aumento dei salari. Il tutto in un anno di elezioni, e mentre l’iniziale euforia per le nuove libertà ha lasciato spazio alla disillusione per un sistema di potere che in realtà non è cambiato, con militari e oligarchi a tirare ancora le fila della vita policia e sociale del paese.