Mentre sale il numero delle vittime uccise da polizia ed esercito in Myanmar, persone che in diversi casi non sarebbero morte se adeguatamente curate anziché trasferite negli ospedali militari, ieri sono scoppiati scontri tra oppositori e sostenitori del golpe a Yangon mentre Facebook ha rimosso tutti gli account collegati a Tatmadaw (l’esercito) e ha vietato gli annunci di società controllate dai militari sulle sue piattaforme.

Si allunga dunque il numero dei decessi (otto secondo Assistance Association for Political Prisoners- Burma uccisi da forze dell’ordine o da miliziani) e le squadracce di «thugs» al soldo del regime, armate di bastoni, pietre e coltelli, seminano il terrore nella folla pacifica che ormai da tre settimane non smette di protestare, con un’adesione massiccia al movimento di disobbedienza civile (Cdm) che coinvolge ormai tutto il Paese e che lunedì scorso ha visto una prova generale di forza – riuscita – in ogni angolo del Myanmar.

Le notizie filtrano con difficoltà dal Paese sotto sequestro ma non cosi le immagini tra cui quella, ripresa dall’alto, di un’incredibile catena umana che a Bagan – antica capitale birmana e sito Unesco – crea un’enorme mappa del Myanmar attraversata da un lunghissimo striscione con la scritta: We want democracy. Nyaung-U, l’area amministrativa che comprende il sito archeologico, conterà forse 30mila abitanti: dà un’idea di come la protesta sia diffusa anche nei piccoli centri e con enorme partecipazione e creatività.

Intanto un giallo diplomatico coinvolge l’Asean, l’associazione regionale di dieci Paesi del Sudest asiatico di cui fa parte anche il Myanmar. Il 22 febbraio Reuters rivela un piano indonesiano per venire a patti con la giunta e concordare coi militari che rispettino l’impegno di elezioni entro un anno sotto sorveglianza di osservatori stranieri. Apriti cielo! Non solo il piano avalla il golpe ma se, come vorrebbe, la titolare della diplomazia indonesiana, Retno Marsudi, andrà in Myanamr, questo solo fatto già costituirebbe un riconoscimento de facto dei golpisti. Marsudi non è ancora arrivata a Yangon che la protesta popolare la prende di mira. E non solo lei: la gente davanti alle ambasciate dei vari Paesi Asean trasforma in immediato imbarazzo l’improvvido progetto di Giacarta.

Tanto che Marsudi cambia idea e si ferma a Bangkok: nega che ci sia un piano bell’e fatto e dice che sta solo facendo un giro di consultazioni e che comunque in Myanmar non andrà. Un pasticcio, ma che si trasforma nell’ennesimo schiaffo internazionale alla giunta, cui il piano avrebbe dato fiato. I militari hanno nel frattempo sciolto la Commissione elettorale in capo alle elezioni dell’8 novembre (vinte da Aung San Suu Kyi) e creato un nuovo organismo che si riunisce domani. Ma la maggior parte dei partiti invitati hanno detto no grazie. Un altro flop interno che si accompagna alla debolissima creazione delle rappresentanze istituzionali del golpe nelle province. Che ha visto altrettanti autorevoli rifiuti.