Il primo giorno del prossimo aprile il Myanmar avrà, dopo oltre 50 anni di regime militare, un presidente in abiti civili. Si chiama Htin Kyaw, ha settant’anni, gode della stima di molti birmani e – quel che fa la differenza – della piena fiducia di Aung San Suu Kyi, la vera vincitrice di questa vicenda che si trascina da anni attraverso arresti domiciliari per lei e una persecuzione mirata degli uomini e delle donne del suo partito, la Lega nazionale per la democrazia (Lnd).

La gestazione di questa elezione è stata lunga e, si può ben dire, sofferta. Comincia nel novembre scorso (ben prima in realtà) quando la Lega fa il pieno alle elezioni parlamentari. Un successo a valanga, senza brogli e intimidazioni. Con qualche ombra ma, in sostanza, col marchio della trasparenza e della legalità sul voto popolare. La maggioranza in parlamento può dunque permettersi di non temere più la presenza dei militari che hanno comunque il 25% dei seggi garantiti e un indiretto potere di veto sul cambiamento della Costituzione, che si può modificare solo col 75% del voto parlamentare.

Dopo la vittoria comincia una lunga trattativa che Aung San Suu Kyi conduce con il partito dei militari e le minoranze per capire come potrà governare. Sa che per ora non può essere presidente perché l’articolo 59 della Costituzione “militare” del 2008 lo vieta a chi ha sposato un forestiero o ha figli con passaporto straniero. La Nobel per la pace spiana così la strada al suo braccio destro: a un uomo, in sostanza, che le consentirà di governare dietro al paravento. Per meglio dire, Suu Kyi sta pavimentando la strada che può portarla a fare la premier, carica che finora non esiste: per governare allo scoperto, poter andare all’estero a incontrare i suoi pari, decidere, avere in mano le leve dell’esecutivo che finora sono prerogativa del presidente. Comunque difficile, perché, al momento, i ministeri chiave sono nelle mani dei militari che possono contare sul vicepresidente.

Htin Kyaw infatti non è solo. Ha preso più della metà dei voti necessari nei due rami del parlamento (360 su 652). Ma accanto a lui – come «primo vicepresidente» – c’è l’uomo che i militari hanno proposto: Myint Swe, 213 voti totali. Non pochi. È un buon amico del presidente uscente Than Shwe, e dunque un uomo fedele alla tradizione in divisa. Si dice anche che sia un falco. A sua volta c’è però un «secondo vice» che è un altro uomo della Lega: Henry Van Thio, 79 voti, e un’appartenenza etnica alla minoranza Chin.

Non sono state rose e fiori. Le candidature devono passare l’analisi di un comitato composto da sette membri, sei dei quali in rappresentanza di Camera Alta e Bassa, più un militare. Quest’ultimo, il generale Than Soe, ha avuto da ridire sia su Htin Kyaw sia su Van Thio. Il primo non è un deputato e il secondo ha passato molto tempo all’estero. Ma un problema ce l’aveva anche Mynt Shwe il cui figlio, con passaporto australiano, ha dovuto rinunciare a quella nazionalità per garantire al padre di poter accedere allo scranno di vice presidente. Il particolare, raccontato da Irrawaddy (da sempre una testata dell’opposizione), rivela dunque che la trattativa applicata alle vicende dei tre candidati potrebbe domani riaprirsi sulla presidenza per Aung San Suu Kyi, che di figli ne ha due con passaporto britannico.

La legge ad hoc che le ha finora impedito di correre per la presidenza potrà forse essere superata – cambiando la Costituzione – o aggirata con qualche escamotage classico delle alchimie istituzionali. O più semplicemente, l’istituzione del premierato semplificherà le cose impedendo un’inutile guerra tra militari e civili. La battaglia sembra dunque spostarsi su un altro fronte: quello della conservazione di poteri e privilegi, una stagione abbastanza classica nei Paesi in transizione. E i primi conti si faranno al momento di formare l’esecutivo, la prima mossa reale del presidente Htin Kyaw. I militari controllano Difesa e economia, hanno le mani in pasta nel commercio e nelle miniere. Sono i signori della guerra alle minoranze. La strada è meno in salita ma non è ancora in discesa.