È partita la corsa alla solidarietà. Boris Johnson, «sconvolto dalle scene che arrivano da Beirut», assicura che «la Gran Bretagna si concentrerà sulle esigenze del popolo libanese». Pompeo, segretario di Stato Usa, ha porto mercoledì le condoglianze al premier Diab confermando gli aiuti medici e umanitari al popolo libanese, mentre le destabilizzanti frasi di Trump su un possibile attentato al porto, contraddette dal Pentagono, sembrano non avere finora un grande effetto.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI iraniano Zarif ha twittato dopo l’esplosione: «I nostri pensieri e preghiere sono con il grande e resiliente popolo libanese. Come sempre, l’Iran è pronto a donare assistenza in ogni modo». Sempre via Twitter il premier italiano Conte: «Le terribili immagini che arrivano da Beirut descrivono solo in parte il dolore che sta vivendo il popolo libanese. L’Italia farà tutto quel che le è possibile per sostenerlo». Mentre il ministro degli esteri Di Maio: «L’Italia è vicina agli amici libanesi in questo momento tragico», non confondendosi come il collega di partito tra amici libici e amici libanesi.

E sorprendentemente anche Israele offre il suo aiuto attraverso il professor Antony Luder, direttore del Centro Medico Ziv, che chiede di «mettere la politica da parte e accettare l’aiuto che possiamo offrire». Con l’augurio – che a malignare sembrerebbe beffardo – che «Nasrallah (leader di Hezbollah) ci permetterà di salvare vite».

MA IL PERSONAGGIO di ieri è Macron. Arrivato alle 9 a Beirut, il presidente ha fatto un giro a Gemmayze verso mezzogiorno e la folla, acclamandolo, gridava: «Aoun (il presidente libanese) è un terrorista!», «Viva la rivoluzione!». Dichiarerà in seguito che «al momento la priorità è l’aiuto incondizionato alla popolazione. Ma c’è l’esigenza che la Francia porti tra mesi, anni, delle riforme indispensabili di alcuni settori».

Il Libano è un ex protettorato francese e la Francia è uno dei suoi principali partner commerciali. Una parte dei libanesi si identifica ancora oggi con lo Stato – un tempo coloniale – della libertà, uguaglianza e fraternità. Macron tornerà in Libano il primo settembre.

UNA CORSA A CHI ARRIVA prima. I numeri di oggi non sono per nulla rassicuranti. Circa 157 vittime e 5mila feriti. Poi l’emergenza Covid-19 con 255 nuovi casi, nuovo record nonostante il calo drastico dei test dovuto alle circostanze. Ed è di oggi la notizia della morte nell’esplosione di Maria Pia Livadiotti, 92 anni, italiana, moglie di Lutfallah Abi Sleiman, già medico di fiducia dell’ambasciata d’Italia in Libano.

Ieri il governo libanese ha dato quattro giorni al neonato comitato investigativo per determinare le responsabilità dell’esplosione, mentre la Banca centrale ordinava agli istituti finanziari di concedere mutui a interessi zero a privati e aziende per rimettersi in piedi.

Ma lontano dalle passerelle politiche, la frustrazione, la rabbia, il senso di impotenza delle persone lasciate a se stesse aumentano. Ora cercano di pulire le strade, rimettere a posto le case distrutte, le finestre, i vetri rotti, le porte scardinate. Come a riappropriarsi della propria intimità violata, della strada, dell’uscio di casa. E lo Stato? I social sono pieni di messaggi contro l’inefficienza, la corruzione, la pericolosità del governo.

«HANNO COMMESSO e commettono crimini e non hanno rimorso. Siamo governati da psicopatici. Abbiamo bisogno di un tribunale internazionale che li condanni e ci salvi», scrive Maya D. su Facebook. E non è l’unica a pensarla così. «Si tratta di un fallimento generale del governo in questo caso. Loro stessi non sanno cosa fare e cosa pensare – ci dice Tom Hornig, attivista politico – Stavolta la situazione è differente perché non si può accusare questo partito o quello. È un fallimento dello Stato nel suo complesso».

Per Raed el-Kazen, musicista e attivista tornato in Libano dopo 14 anni negli Stati uniti, il problema è che il denaro che arriverà «comprerà le persone, che accetteranno ogni cosa, un po’ come era successo con Hariri o dopo la guerra civile. Secondo me, dopo lo choc, qualche gruppo scenderà in strada e sarà violento, altre persone no. Ma la strada non sarà la risposta, come non lo è stata finora. Io personalmente ho appena lanciato una raccolta firme, per fare in modo che i crimini di questi giorni vengano giudicati da un tribunale internazionale come crimini contro l’umanità».

Agamben teorizzava, riprendendolo da Schmitt, lo stato di eccezione, per una causa straordinaria viene sospeso il diritto. E il Libano non è nuovo a questa sospensione. Tutt’altro. La paura è che questo disastro sia sfruttato in tal senso, che si crei per l’ennesima volta uno stato di eccezione che lasci tutti gli attori politici al loro posto e impuniti, con la solita promessa delle riforme da fare, come riecheggiava anche oggi nei discorsi del presidente francese. E qui l’eccezione è la regola.