Questa volta si è arrabbiata davvero e, per farlo intendere bene, ha postato una foto emblematica. Dopo il recente e pirotecnico G7 del Canada dove Trump ha, come al solito e come il più capriccioso dei bambini, fatto e disfatto rimangiandosi con un tweet la firma sul documento appena condiviso mentre era in volo per Singapore, Angela Merkel ha espresso tutto il suo disappunto pubblicando un’immagine che, da sola, parla più di mille discorsi. Si vede il presidente Usa seduto e circondato dagli altri potenti della terra che sono in piedi e lo soppesano come un inaffidabile. Dal gruppo emerge lei, Merkel.

In giacca verde, sta di fronte a Trump e lo guarda negli occhi, le mani appoggiate su un tavolo, il busto proteso in avanti, imponente e minacciosa mentre lo sovrasta dicendogli qualcosa che non sembra affatto simpatico. Siccome il body language non mente, guardando questa foto vengono in mente un sacco di analogie. Merkel assomiglia a quelle madri vigorose che hanno a che fare con un figlio venuto non proprio benissimo, o che sta combinando così tante stupidaggini che, un giorno sì e l’altro pure, si chiede se ha prodotto uno scemo. Di solito ci si atteggia così con i figli quando sono ancora in fase di formazione del carattere e, quindi, diventa necessario fargli capire come stanno le regole e chi le stabilisce in famiglia. Sono situazioni in cui si dicono cose tipo: «Vuoi uscire con gli amici? Bene, prima fai i compiti»; «Ho parlato con gli insegnanti ed è un disastro. Da oggi niente play station. Cellulare mezz’ora al giorno e solo prima di cena»; «Vuoi la paghetta? In cambio lavi i piatti ogni sera e butti la spazzatura ogni giorno». Ovviamente, regole così richiedono di tenere il punto con un comportamento adeguato perché è noto che i figli conoscono mille tattiche per aggirare l’ostacolo, tirare la corda o inventarsi provocazioni. Insomma, ci vuole carattere.

Mi viene in mente quella signora che, stufa di dover raccogliere ogni giorno magliette, mutande e quant’altro sparsi nella stanza del figlio, decise di non raccattare né lavare più nulla per vedere se lui avrebbe reagito. Il ragazzo per un mese fece finta di niente e la sua stanza si trasformò in una discarica di indumenti da cui salivano fetori stratificati. Quando i cassetti furono vuoti, il ragazzo provò a protestare con la madre che non gli lavava né stirava più nulla. Lei, serafica, gli disse «La lavatrice è lì. Fatti il bucato, se vuoi». Mugugnando, solo allora lui si avvicinò all’elettrodomestico e chiese alla madre come funzionava. Ci impiegò una settimana a lavare ciò che aveva accumulato, restrinse o stinse metà del guardaroba, ma da allora l’accatasto selvaggio si è fermato, anche perché la madre ha stabilito, con lui, che è abbastanza grande per farsi i bucati da solo, e quindi non è tornata a fargli da ancella della lavatrice.
Lo so, trasferire questo atteggiamento in politica internazionale significa far correre a popoli interi rischi da brivido, perché un Paese è un po’ più complicato della stanza incasinata di un figlio arrogante, presuntuoso, ignorante e che non vuole crescere, ma Merkel il messaggio l’ha lanciato. Il problema, nel caso specifico, non è solo il biondo panzone, ma quelli che l’hanno votato e che, nel simbolico, sarebbero come i suoi genitori. Come molti sanno, per incivilire certi ragazzi bisognerebbe cominciare a rieducare i suoi parenti e temo che lì anche mutti Merkel avrebbe qualche problema. L’impresa è titanica, ma se si vuole si può. Resta da vedere se i genitori incapaci hanno voglia di cambiare, a cominciare da se stessi.

mariangela.mianiti@gmail.com