L’assoluzione in appello di Giuseppe Mussari, Antonio Vigni e Gianluca Baldassarri in uno dei processi più evocativi dell’affaire Monte dei Paschi fa giustizia di una narrazione che, fin dall’inizio, fece gran notizia ma lasciò scettici molti addetti ai lavori.

L’oggetto del processo era infatti il «mandate agreement», il contratto per la ristrutturazione del derivato Alexandria stipulato con la banca giapponese Nomura, che ufficialmente era stato nascosto in cassaforte.

Sempre ufficialmente il contratto fu scoperto da Alessandro Profumo e Fabrizio Viola quando questi ultimi iniziarono il loro lavoro per far uscire Mps dalle secche.

Un lavoro concluso non certo brillantemente, vista la dozzina di miliardi (privati) bruciati sull’altare di continue ricapitalizzazioni di mercato.

Di fronte a un’assoluzione «perché il fatto non costituisce reato» di ostacolo alla vigilanza – e in attesa della Cassazione – la chiave di lettura di Bankitalia è elementare: «Possiamo presumere che la corte considera esistenti i fatti, ma ritiene che non costituiscano illecito penale».

Più espliciti i difensori Padovani, Marenghi e Pisillo: «E’ stato dimostrato, grazie a documenti contrattuali estratti dagli atti del fascicolo del processo milanese, che la Banca d’Italia ha avuto da sempre a disposizione un contratto (deed of amendment) che ha un contenuto equipollente, anzi superiore, al mandate agreement».

Insomma, per Padovani e i suoi colleghi Palazzo Koch sapeva. E del resto sarebbe difficile pensare il contrario, visto che per «ristrutturare» il derivato Alexandria – che in seguito alla crisi dei mutui subprime aveva generato perdite per Mps per 220 milioni – Nomura si accollava le perdite immediate. Ma in in cambio otteneva da Rocca Salimbeni l’acquisto di ben 3 miliardi di Btp, con scadenza 2034, finanziato dalla stessa Nomura.

Un’operazione di enorme portata, difficilmente celabile alla comunità finanziaria e alla vigilanza.

Il problema è che l’operazione, che permetteva a Mps di scaricare su Nomura la perdita di Alexandria, e così di far andare in attivo il bilancio 2009 che altrimenti sarebbe stato in rosso, avrebbe generato, negli anni della «guerra dello spread», nuove perdite per centinaia di milioni (500 circa).

Ci sono responsabilità dunque anche di Bankitalia, allora guidata da Mario Draghi?

Per certo nelle indagini su Mps ci sono una quindicina di esposti di altrettanti piccoli azionisti, che fin dal 2008 chiedevano conto a Consob e alla stessa Bankitalia di quello che stavano facendo Mussari, Vigni e Baldassarri.

E per certo nel 2010 l’Abi, la potente associazione dei banchieri italiani, confermava Mussari alla guida, dopo averlo eletto già nel 2008.

E ora la palla, avvelenata, passa alla Cassazione.

(una versione ridotta di questo articolo è stata pubblicata sul manifesto dell’8 dicembre 2017)