David Harding (Edinburgh, Uk, 1937) e Ross Birrell (Glasgow, Uk, 1969) lavorano insieme dal 2005 e, collaborando, hanno realizzato film e installazioni come Port Bou: 18 Fragments for Walter Benjamin; Cuernavaca: A Journey in Search of Malcolm Lowry e Guantanamera, prodotto da Douglas Gordon.
Birrell e Harding partecipano a documenta14, ad Atene e a Kassel (10 giugno-17 settembre 2017). E alla Athens Concert Hall di Atene, in apertura della kermesse hanno presentato la Sinfonia n.3, Op. 36, Symphony of Sorrowful Songs Henryk Górecki, con la partecipazione della Athens State Orchestra e la Syrian Expat Philharmonic Orchestra (Sepo).

Henryk Górecki (1933 – 2010) è stato un compositore polacco di musica classica contemporanea e la sua Sinfonia n.3 è stata composta nel 1976. L’opera si avvale di tre movimenti, ognuno dei quali include un a solo di una soprano, con testi originali in polacco. Górecki era una figura marginale fino al 1992, quando una registrazione di questa Sinfonia è stata pubblicata, sedici anni dopo la sua composizione, ed è arrivata in testa alle classifiche di tutto il mondo. È forse il brano di musica classica contemporanea più venduto di tutti i tempi.

Perché ha scelto di suonare la «Sinfonia n.3» di Górecki, proprio ad Atene?

Non ricordo se è stato perché siamo venuti a conoscenza della Syrian Expat Philharmonic Orchestra. O se fui io a parlare a Ross (Birrell, ndr.) dell’idea di proporre ad Adam Szymczyk di suonare la Sinfonia n.3 di Górecki. Lui non la conosceva: è stato uno dei brani che ho assolutamente amato di più, che ho intepretato per diversi anni. Così gli ho inviato un cd, e mi ha risposto di sì, che voleva farlo! Da quel momento ci siamo messi in contatto con gli esiliati siriani, per assicurarci che fossero d’accordo nel partecipare alla nostra performance. Anche la Athens State Orchestra era interessata, così l’idea ha preso forma, ed è diventata il concerto di apertura di documenta. Le parole che Górecki usa nella Sinfonia n.3 riflettono alla perfezione quello che stavamo cercando. Parlano di dolore, sofferenza, perdita, speranza e disperazione. Raed Jazbeh è stato il nostro primo contatto con la Syrian Expat Philharmonic Orchestra. Vive a Brema e ha fondato l’Orchestra due o tre anni fa. Racha Rizk, la soprano, invece, è originaria di Damasco, ma vive a Parigi. È stata dura portare tutti ad Atene. Abbiamo dovuto insistere: volevano una soprano greca. Uno degli elementi più importanti e messi in risalto da questo pezzo di Górecki è che stanno distruggendo una comunità multireligiosa. Nell’Orchestra sono presenti siriani cristiani e alawiti, anche yazidi.

 

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A «documenta14» lei partecipa anche individualmente, con una nuova produzione. Cosa sono le «Desire Lines» e qual è la relazione tra «If you do not love me…» dalla poesia di Samuel Beckett «Cascando» (2017) e l’idea alla base dell’edizione di «documenta», appena apertasi?

Un «Desire Path» è un percorso creato in modo spontaneo dalle persone. Non strade progettate, ma sentieri segnati dall’uso, da un passaggio continuo. Attraversano in diagonale quegli itinerari che, invece, seguono una linea retta.

Non molto tempo dopo la sua nomina a direttore artistico, Adam Szymczyk chiese a me e a Ross di partecipare a documenta 14. Subito dopo, mi parlò di Beckett e di quanto questa figura fosse importante per la città di Kassel. Fu allora che mi spinse a mettermi sulle tracce di questa curiosa connessione. Beckett ha amato molte donne, tra queste Peggy Sinclair a Kassel, tra il 1928 e il 1930. La casa dove incontrò la sua giovane amante, sua cugina di sedici anni o diciassette, mentre lui ne aveva già venti, oggi ospita un’associazione (Samuel Beckett Gesellschaft Kassel, ndr). Ci saranno centinaia di performance di Aspettando Godot in scena in tutto il mondo. Ho sempre ammirato la sua opera, ma non l’uomo, l’ho sempre trovato arido. Così ho cominciato a leggere tutto ciò che lo riguardava: biografie, saggi, e tutto il materiale che riuscivo a procurarmi. È così che sono arrivato a Cascando. Beckett aveva scritto questa poesia nel 1936 per una donna americana, che non rispose mai alle sue lettere.

Per tornare a documenta, anche i rifugiati cercano le loro «Desire Lines». Rompono i sentieri convenzionali e cercano di passare qui e lì, un po’ dovunque. Ho cominciato a cercare «Desire Lines» ad Atene, e poi anche a Kassel. Una volta selezionati alcuni sentieri, è stato necessario contestualizzarli, fisicamente e tecnicamente: la scelta del font giusto, della forma delle lettere, del materiale… La forma della lastra di cemento che ho scelto è la stessa che si vede per le strade di Atene, e il font è molto specifico, perché è un font greco. Mi sono anche messo in contatto con un regista, perché qui in Grecia Beckett ha avuto molte rappresentazioni in teatro.

Non ero ancora sicuro che questo lavoro avesse attecchito completamente nel suo contesto quando, circa un mese dopo avere incontrato il regista, lessi sui giornali che il governo irlandese aveva commissionato quattro nuove navi per la protezione della pesca. Si trattava di guardacoste per contrastare il contrabbando. Una delle imbarcazioni si chiamava Samuel Beckett. Il giornale riportava la notizia di quella barca, mentre metteva in salvo dei rifugiati al largo delle coste libiche. La seconda imbarcazione irlandese si chiamava James Joyce, la terza William Butler e l’ultima George Bernard Shaw.

Ha lavorato come «Town Artist» a Glenrothes, in Scozia, dal 1968 al 1978. Cosa ricorda di quegli anni?

Ero stato in Nigeria, dove avevo insegnato per quattro anni. Tornato nel Regno Unito, avevo bisogno di un lavoro. Scrissi delle lettere ad alcune città scozzesi, proponendomi per un lavoro, ma senza successo. Alcuni mesi dopo, lessi un annuncio. Cercavano un artista per contribuire allo «sviluppo esterno della città»: strade, palazzi, e spazio pubblico, per intenderci. Fui assunto e riuscii anche a impiegare uno studente che aveva lasciato il college quell’anno. E poi un altro studente, e un altro ancora… e così, per sei o sette anni. Abbiamo lavorato a moltissimi progetti, principalmente sculture e paesaggi. Nel frattempo incontrai John Latham, e sua moglie Barbara Steveni, che aveva fondato Apg (Artist Placement Group) insieme a lui. Siamo diventati amici.

Il 70-80% delle abitazioni facevano parte di progetti di edilizia pubblica. Il mantenimento di quegli edifici prevedeva che, ogni quattro o cinque anni, le porte fossero ridipinte. Un architetto, impegnato sulle opere di miglioria nella zona più antica della città, mi chiese di scegliere il colore delle porte in quella zona. Non avevo nessuna intenzione di farlo! Così, ho preso uno di quei cataloghi che trovi nei colorifici, ho cominciato a bussare a tutte le porte, a domandare: «Di che colore vorresti che fosse la tua porta?». Una delle risposte fu: «Ho vissuto qui per venticinque anni, nessuno me lo aveva mai chiesto!». Non credevano che l’avrei fatto davvero. Ma ci riuscii: dissi che quella era la mia selezione. Se avessi detto che era il colore scelto dai residenti, avrebberobocciato il progetto. Era la mia opera concettuale!

Perché ha lasciato il suo lavoro a Glenrothes?

Ho lavorato come «Town artist» a Glenrothes per dieci anni. Erano gli anni del consenso, del grande ottimismo e della ricostruzione. Ma poi è diventato sempre più difficile collaborare con gli studenti che partecipavano ai miei progetti. Non riuscivano a inserirsi nel contesto. Erano troppo abituati alla galleria e non avevano dimestichezza con lo spazio pubblico. Cominciai a chiedermi se quello che mancava loro si potesse insegnare. E così, ho trovato il corso di «Art and social context» nel Devon, in Inghilterra…

A Glasgow hai fondato il primo dipartimento di Environmental Art alla Scuola d’arte, nel 1985. È stato il primo corso e forse anche l’unico. Il titolo non significava assolutamente niente, si trattava piuttosto di un contenitore che si ispirava al lavoro di Jonatham Latham e Apg. The Context Is Half The Work è stato il fondamento filosofico su cui si è basato tutto il mio corso. Ho insegnato lì per quindici anni. Una volta hanno chiesto a Douglas Gordon, che è stato un mio studente, che cosa avesse imparato al dipartimento di arte ambientale alla Glasgow School of Art. Lui ha risposto: «a cantare» (ride, ndr). Non a come cantare, semplicemente cantare.