Come muoiono i musei oggi? Muoiono per i bombardamenti per esempio, ma in un paese in tempo di pace, cosa accade? Muoiono perché non hanno le risorse per restare aperti e si tagliano fondi al personale di sorveglianza, esponendoli così più facilmente ai furti, muoiono infine perché si dà per certo che solo un intervento privato possa garantirne l’esistenza. Altrimenti mancano i fondi. In realtà quello che manca è una visione collettiva che metta insieme gli enti pubblici e il privato con il territorio e i suoi cittadini.

E la storia di come sia nato il museo Richard Ginori a Doccia (Sesto Fiorentino) è proprio una storia di ampie vedute, di progresso civile, di curiosità culturale. È la storia di Carlo Ginori che nella prima metà del Settecento fa dei viaggi in Austria riportando in Toscana, a Sesto, i segreti della manifattura della ceramica d’oltralpe.
Siamo nel mezzo del secolo dei lumi e mentre i Lorena prendono il posto degli ultimi Medici un aristocratico illuminato, dalle famiglie dei suoi coloni (quindi direttamente dai campi e dalla sua terra) sceglie e istruisce quelli che diventeranno suoi preziosi e raffinati maestri d’arte.

Raccoglie instancabilmente fin dall’inizio una gran quantità di modelli e calchi in gesso, acquistati dagli eredi degli scultori del tardo barocco fiorentino dando vita al primo nucleo di una ricchissima collezione composta e arricchita poi nel corso dei secoli, costituita da forme in gesso (alcune centinaia ancora in attesa di una catalogazione), circa 1200 modelli in gesso, 8000 opere in ceramica, terracotta, cera e piombo, oltre a circa 7000 lastre per la decalcomania e la cromolitografia.

Una miriade poi le vicende che nei secoli hanno investito l’azienda: dall’istituzione, nell’Ottocento, di scuole serali e della Società di Mutuo Soccorso per i lavoranti, alla fusione con la milanese Richard al tentativo, riuscito, da parte degli operai, di salvare i macchinari e i forni minati dai tedeschi in ritirata alla fine della seconda guerra mondiale infine alle lotte operaie affinché la silicosi venisse riconosciuta come malattia professionale.

Le tristi vicende dell’azienda relative agli ultimi anni (malagestione, cambi di proprietà, fallimenti) hanno messo seriamente in pericolo l’esistenza del museo stesso la cui chiusura completa, negli ultimi due anni, ha fatto sì che, al suo interno, vi siano condizioni incompatibili con la conservazione di opere d’arte. Le infiltrazioni d’acqua sono ovunque e l’umidità, per esempio sui preziosi modelli in cera, interagisce direttamente col gesso di riempimento dando pericolosi effetti di rigonfiamento. Sarebbe bello e logico e importante allora pensare a una scuola che, invece di andare a visitare i Grandi Uffizi, sceglie di andare a visitare un museo piccolo, prezioso e vicino. Quei ragazzi tornerebbero a casa e forse qualcuno gli racconterebbe come si lavorava e cosa si faceva alla Ginori. Sarebbe un esempio di come il patrimonio comune faccia crescere i cittadini che, in cambio, poi diverranno suoi custodi.