MBM Portrait 4
Moncef Ben Moussa

È formalmente proibito, se non si vuole incorrere in una sanzione, entrare nel museo con cani o armi. Così recitava il regolamento riportato nel catalogo del Museo del Bardo di Tunisi nell’edizione del 1993. Una norma che se allora poteva apparire quasi singolare, riletta oggi provoca tristezza e commozione per le vittime dell’assalto jihadista dello scorso inverno nella superba residenza del Bey.

#pernondimenticare il Museo del Bardo, 18 marzo 2015 è il titolo di una conferenza che si svolgerà oggi a Paestum, nella cornice della XVIII Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico. Il Bardo verrà anche insignito del premio Paestum Archeologia.

Protagonista dell’evento sarà il direttore del museo, Moncef Ben Moussa, il quale prima di raggiungere l’Italia (e prima che scoppiasse il «caso Touil») ha parlato con il manifesto da Tunisi.

In seguito all’attacco terroristico, il Museo del Bardo ha riaperto quasi subito le sue porte. Un atto di coraggio da parte sua e di tutto il personale, ma anche di tenacia nel voler sottolineare che, in questa difficile fase di transizione democratica della Tunisia, le istituzioni culturali non devono abbassare la guardia. Che cosa rappresenta, oggi, il Bardo?
Il Museo del Bardo contiene le componenti essenziali dell’identità tunisina, la quale rifiuta con fermezza il terrorismo. Prima dell’attentato del 18 marzo 2015, il Bardo era un simbolo della nostra cultura e di quella mediterranea ed è proprio per queste ragioni che è stato preso di mira. La riapertura tempestiva è stata una reazione pacifica, non solo da parte dei responsabili istituzionali ma di tutto il popolo tunisino, contro gli estremisti islamici. Oggi il Bardo è diventato un esempio di come si possa combattere la violenza con la cultura. Più che un museo, è un tempio dove ci si raccoglie nella conoscenza della storia del Mediterraneo e nel quale si scopre la fierezza dei tunisini nel promuovere i valori universali del dialogo e della tolleranza.

Il Bardo, con la sua ricca e preziosa collezione di mosaici romani (la più grande al mondo, «ndr»), è il fiore all’occhiello dell’offerta museale della Tunisia e una delle principali attrazioni turistiche del paese. Riguardo la sua partecipazione alla Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico, cosa sente di poter dire ai visitatori italiani e internazionali affinché riprendano a viaggiare verso la riva sud del Mediterraneo?
Ogni ospite del Bardo, pur viaggiando in terra «straniera», troverà fra le opere esposte qualcosa che gli appartiene, perché la cultura invita all’incontro con sé e con gli altri. A Paestum vorrei lanciare un messaggio che mi sta particolarmente a cuore. Non andare più laddove i terroristi hanno colpito, dimostra a questi ultimi che hanno raggiunto il loro obiettivo: costruire barriere fra i popoli. La Tunisia, fin dalle sue remote origini, è sempre stata un paese accogliente e lo resterà ancora perché la violenza non fa parte del modo di agire dei suoi abitanti. Attualmente, il Bardo ha un flusso turistico inferiore rispetto a un anno fa, ma si organizzano in modo continuativo manifestazioni che richiamano un numero cospicuo di persone.

In Italia si è parlato di un trasferimento di opere dal Bardo a Lampedusa per un’iniziativa volta a ricordare la memoria dei migranti che hanno perso la vita in mare.
Si tratta di un progetto del quale siamo entusiasti e che ci auguriamo possa avverarsi al più presto. Comunque, le collaborazioni con l’Italia non mancano. Nelle prossime settimane alcune opere della collezione del Bardo saranno in mostra al museo di Aquileia e questo è per noi motivo di grande gioia.

Le missioni archeologiche italiane in Tunisia, che in questi ultimi anni non hanno abbandonato il campo, costituiscono un importante strumento di dialogo fra i due paesi. Tuttavia esso resta appannaggio di una fascia privilegiata di cittadini. Cosa si può fare per favorire un più vasto coinvolgimento delle due comunità?
L’Italia e la Tunisia vantano una lunga consuetudine di cooperazione. È vero che nel mondo della cultura le attività si sono svolte soprattutto nel quadro di progetti scientifici. Sono convinto, però, che altre vie di scambio siano possibili e occorra spronare in particolare le nuove generazioni. Con loro e per loro, dobbiamo impegnarci – da una sponda all’altra – a costruire un mondo senza frontiere, dove la cultura divenga un bene ugualmente accessibile alle diverse componenti della società.