Dalla «Milano da bere» alla «Milano da mangiare». Si potrebbe sintetizzare cronologicamente così il percorso di Luca Musella, fotografo, operatore e scrittore, protagonista del documentario Let’s go di Antonietta De Lillo presentato all’ultimo Torino Film Festival, che ora inizierà un tour toccando dall’11 maggio le principali città italiane (Milano, Napoli e Roma) dopo l’anteprima romana il 10 maggio al Nuovo Cinema Aquila. Prodotto da marechiarofilm con RaiCinema (ha come partner la campagna Miseria Ladra di Libera e Gruppo Abele) e distribuito da Mariposa Cinematografica, il film che si muove tra documentario e finzione (ma è più pertinente parlare di un cinema che racconta il reale con tutti i suoi strumenti), è la storia di un intellettuale napoletano di successo (fotogiornalista, video operatore e autore di alcuni romanzi) oggi esodato professionalmente ed emotivamente.

E l’ultima sequenza che lo ritrae mentre mangia un panino seduto a un bar e descrive fuori campo l’ultima odissea professionale ed esistenziale, si staglia in netto contrasto con la Milano opulenta dell’Expo e il film esce proprio in piena mobilitazione mediatica per l’evento mondiale dedicato al cibo, all’alimentazione e alla nutrizione. La De Lillo, autrice napoletana non-riconciliata, sempre tesa alla sperimentazione, che dopo alcune felici incursioni nella fiction (Non è giusto, Il Resto di Niente) ha trovato uno straordinario equilibrio stilistico e narrativo per i suoi ritratti documentaristici poetico-politici (l’ultimo è La pazza della porta accanto con Alda Merini) e ha ideato e curato il progetto del primo film partecipato in Italia Il Pranzo di Natale, ora ha voluto parlare dei nuovi poveri del XXI secolo attraverso la vicenda molto emblematica di Musella.

Pur praticandolo con rigore, lucidità di obiettivi, coerenza concettuale, Antonietta non è una purista o integralista del documentario, non disdegna contaminazioni e integrazioni e in questo caso non ha esitato a utilizzare come struttura narrativa portante un testo dello stesso Musella e a farlo interpretare dalla voice over di un attore professionista come Roberto De Francesco. Il protagonista ripercorre la propria vita con un testo-lettera da lui scritto e fa un viaggio reale e ideale attraverso l’Italia, da Napoli, sua città natale, a Milano, il luogo della sua nuova esistenza.Da professionista borghese, fotografo quotato di importanti agenzie giornalistiche, autore di istantanee che hanno illustrato le copertine de L’Espresso, di Sette e di alcune riviste straniere, si è ritrovato da un paio d’anni nullatenente a vivere in prima persona quella realtà che fotografava trovandosi magari qualche volta per caso dall’altra parte dell’obiettivo. Musella racconta la sua caduta da un universo borghese a un sottoproletariato fatto di marginalità e clandestinità. La macchina da presa ci conduce dentro il nuovo mondo di Luca, nella Milano della periferia, lungo sponde meno conosciute dei Navigli e ci mostra attraverso lo sguardo di una donna la vita di un uomo costretto a reinventare la propria esistenza. Ha messo su famiglia, ha investito in un paio di attività a metà fra l’intellettuale e il commerciale, e poi è arrivata la crisi, che si è portata via il lavoro, il negozio, la famiglia, la casa.

Oggi Luca vaga per le strade di Milano campando di lavoretti occasionali e frequentando i «sottoproletari» come (è diventato) lui. Le immagini, in alcuni casi girate dallo stesso Musella, e le sue parole si intrecciano con il testo della lettera: il racconto in presa diretta, frutto di uno sguardo capace di soffermarsi sulla miseria e fragilità del mondo, si mescola sapientemente con la parola scritta, permettendo al protagonista di farsi specchio dello spettatore. Luca Musella e le persone che popolano il suo microcosmo si fanno infatti portavoce di una condizione particolare e, allo stesso tempo, universale, ritratto della smarrita Italia di oggi ed emblema di una sensibilità letteraria che, partendo dall’analisi della realtà, elabora possibili antidoti.

«Quello che mi ha spinto a raccontare la storia di Luca è soprattutto la sua capacità di vivere la sua nuova condizione con pudore, dignità e senza rancore. Un esempio commovente dell’intelligenza e della sensibilità di chi capisce che l’unica possibilità di riscatto è nel vivere con il pessimismo della ragione e l’ottimismo della volontà», dice Antonietta De Lillo. Le immagini e le parole si confrontano continuamente con il testo della lettera, in un linguaggio in bilico tra l’immediatezza del racconto e la riflessione della parola scritta. «Il lavoro non nasce tanto dalla volontà di raccontare la ’caduta’ di Luca – aggiunge la regista – quanto dal desiderio di mostrare l’incapacità della collettività di sostenere chi è in difficoltà. Le cadute fanno parte della vita, siamo noi a essere diventati troppo fragili per accettarle. Luca, con il suo temperamento di combattente gentile, ci mostra che è possibile non arrendersi al rancore, rialzarsi e andare avanti. È una storia che ci riguarda tutti come individui e come collettività». Con la collaborazione artistica e la fotografia di Giovanni Piperno, montaggio di Giogiò Franchini e musiche di Daniele Sepe e di una «sigla finale» cantata da quel bardo della Milano ai margini che è stato Enzo Jannacci.