È una calda giornata di inizio febbraio. Siamo all’esterno del museo di Casal de’ Pazzi, a sud-est di Roma nel quartiere di San Basilio. Proviamo a chiudere gli occhi, liberiamo la mente restando con i piedi saldi sul manto roccioso del corso d’acqua. A piccoli passi procediamo sul letto del fiume, la superficie è ruvida e piena di ciottoli. Lungo il percorso incontriamo ad altezza viso alberi e piante. Roberta è la nostra guida. Archeologa classica ed esperta nella comunicazione tattile per i non vedenti. È con lei che ci immergiamo tutto d’un fiato nel Pleistocene, ma al buio. Al buio di un’esperienza tattile..

«Chi vuole può indossare le mascherine altrimenti chiudete bene gli occhi…». Roberta prende qua e là delle foglie che consegna ai partecipanti: si tratta dei ragazzi non vedenti del centro regionale Sant’Alessio-Margherita di Savoia con i loro accompagnatori. Un gruppetto vivace, attratto dalla novità. «I polpastrelli delle mani diventano dei sensori: percepiscono la superficie delle foglie ora liscia ora vellutata, dai contorni spezzettati, appuntiti e taglienti», così la guida esalta le capacità del tatto rispetto agli altri sensi. Ogni superficie è sintomatica di un colore, spiegato con il tatto o con odori e sensazioni.

«Il marrone è come la terra o le parti morte delle cose che crescevano nella terra. Porgile qualche foglia o filo d’erba, affinché li tenga in mano, e spiegale che sono verdi. Il verde corrisponde alle parti vive delle piante, perché quando hanno questo colore vuol dire che hanno vita».

Il marrone e il verde
Con in mano alcune foglie morte, Roberta spiega ai ragazzi la differenza tra il verde e il marrone. Tra i partecipanti ci sono Lorenzo e Matilde, non vedenti dalla nascita. Sembrano entusiasti. «Ho toccato questa foglia e sulle dita mi è rimasto un buon odore di salvia come se stessi mangiando un piatto di pasta burro e salvia…». Se Lorenzo associa il profumo della salvia al gusto, Matilde si sofferma sul tatto. Impara a conoscere e distinguere le foglie toccandole.

Dall’esterno si accede poi, tramite una lunga passerella, alla sala dei fossili interna. Uno a uno i ragazzi, accompagnati dall’archeologa, si inginocchiano a terra con le braccia in avanti. Non sanno cosa stanno per toccare, ma sono molto curiosi. «Roberta ha preso la mia mano mentre il suo braccio, da dietro, mi aiutava a rimanere in equilibrio. Piano piano e poi subito veloce, quasi a prendere la rincorsa sulle montagne russe. La superficie era ruvida con tante scanalature come dei solchi stretti e lunghi. Ho abbracciato la zanna di un elefante antico, dalla punta aguzza e sottile». Così Matilde ci racconta la nuova esperienza. La zanna è lunga circa 4 metri. Si tratta di una ricostruzione con l’aggiunta di pezzi di un’originale zanna di elefante antico, rinvenuti nel 1981 in uno scavo nella zona del museo.

L’ultima parte della visita prevede l’uso di tavole tiflodattili (dal greco tiflos, cieco), disegni in rilievo e iscrizioni in braille. Sono gli strumenti che usa il museo per tradurre il linguaggio visivo in linguaggio tattile. «Chiudere la visita senza l’esperienza dei sussidi plastici o cartacei è come annullare l’intero percorso. Il museo di Casal de’ Pazzi nasce per fronteggiare ogni forma di disabilità. Toccare i reperti e i fossili è la prima forma di accoglienza e inclusione». Attraverso il tatto, l’arte diventa per tutti uno strumento di conoscenza. Anche per chi vede, però, l’esperienza tattile completa quella visiva, perché il tatto analizza elementi che la vista non coglie. In Italia è attivo dal 2015 il progetto «Musei da toccare», promosso dalla soprintendenza capitolina ai beni culturali in collaborazione con Zétema Progetto Cultura. Venti musei – tra archeologici, moderni, contemporanei e scientifici – che offrono percorsi guidati per non vedenti e ipovedenti.

Stampa laser
Tra le tecniche di realizzazione dei sussidi per non vedenti si predilige la stampa laser con il fusore perché economica e istantanea. A spiegarci il funzionamento è Maria Poscolieri, architetta e presidentessa dell’associazione Museum. È una donna gentile che fa vivere Museum grazie al volontariato. Si tratta infatti di una Onlus priva di una sede, ma disposta a muoversi sul territorio nazionale per eventi e corsi di formazione. Per l’occasione il macchinario è ospitato nell’istituto Augusto Romagnoli di Roma. Un edificio immerso nel verde su via Gregorio VII, a pochi metri da Villa Doria Pamphili. In una stanzetta Maria ci spiega che: «Il funzionamento del fusore è molto semplice. È un macchinario che si usa per stampare a rilievo disegni e immagini su fogli a microcapsule. Si inserisce il foglio sotto una lampada laser che produce calore. Questo provoca un rigonfiamento delle microcapsule nei punti esatti in cui vi è il tratto di toner della stampante». Maria realizza al momento un foglio di prova, giusto qualche minuto prima dell’arrivo di un gruppo di persone nella stanza a fianco.

Sono qui per il corso di formazione «Vivere l’arte», «rivolto agli educatori dei minorati della vista». Viene organizzato annualmente, da gennaio a marzo, da Maria Poscolieri e Lucilla d’Antilio. Sono due donne unite dalla convinzione che «l’inclusione è un diritto e l’accessibilità un dovere». Maria è la mente e Lucilla il braccio, anzi, le mani. «Ho insegnato per tanti anni in un liceo artistico. Sono nata e cresciuta nell’arte, che è stata un mezzo di riscatto». Lei è Lucilla e insegna come rendere l’arte fruibile ai non vedenti. Ha perso la vista a 35 anni per una congiuntivite non diagnosticata. «Dopo tanti anni di insegnamento, ho notato che i ragazzi con disabilità visive venivano esclusi a priori dalle attività artistiche. È per questo che oggi insegno come includere i ragazzi non vedenti o ipovedenti in un lavoro di classe che sia uguale per tutti». Lucilla invita i partecipanti a sedersi attorno a un tavolo bianco dalla forma a «u».

Sul tavolo già sono pronte delle vaschette di plastica con dell’argilla. «Formate delle coppie: uno di voi verrà bendato, l’altro invece dovrà fare da guida e spiegare al compagno cosa vi consegneremo». Le operatrici Paola e Serena distribuiscono ai non bendati dei modellini 3D di sculture ben note. «Lasciatevi guidare dal vostro collega. Prima ascoltate la sua spiegazione: vi farà imitare con le braccia la posizione della statua che vi è stata assegnata. Solo dopo darete ascolto alle vostre mani». Regna il silenzio. «Il rumore delle voci e degli spostamenti mi ha fatto più volte perdere la concentrazione. Ora riesco a capire le difficoltà che può incontrare il mio alunno non vedente in una classe a indirizzo musicale». Così Manuela, docente di una scuola media, riflette sull’importanza del silenzio per la concentrazione tattile.

Omero ad Ancona
Nell’ultima lezione di «Vivere l’arte, l’ospite è Cristiana Carlini, operatrice del museo Omero di Ancona. «In Italia, la grande attenzione rivolta all’inclusione dei non vedenti nei musei si deve ad Aldo Grassini e Daniela Bottegoni». Marito e moglie, «esclusi dai musei perché ciechi, decisero di fondarne uno proprio per chi non vede. Nasce così il museo Omero, nel 1993, che oggi ha sede nella Mole Vanvitelliana di Ancona». La collezione del museo comprende circa 300 opere. Offre descrizioni in braille, in nero, a caratteri grandi e pedane mobili per l’esplorazione dei non vedenti. Il museo non prevede la creazione di percorsi differenziati. I vedenti possono decidere se visitarlo bendati. Tutti, comunque, possono toccare. «All’interno dei musei molto spesso a noi ciechi è vietato toccare le sculture originali a mani nude», spiega Lucilla. «Alcuni musei ce lo consentono, altri ci obbligano a usare i guanti ma non ha lo stesso effetto. Al non vedente va insegnata la delicatezza del tatto per non danneggiare un reperto prezioso». «Ciò che ogni cieco vorrebbe sentirsi dire», conclude Lucilla, «è ’si prega di toccare’».