Distopie, realtà virtuali, la necessità di un armistizio con la tecnologia imperante. Sono queste le nuove ossessioni del disco dei Muse, Simulation Theory, in uscita il 9 novembre. A poche ore dalla trionfale esibizione ai MTV Europe Music Awards di Bilbao, il trio inglese arriva a Milano per presentare un lavoro che, apparentemente, sembra continuare sulla scia dei precedenti. Album dalla lunga gestazione, a partire da Thought Contagion, primo singolo uscito a febbraio, le nuove traiettorie musicali del disco erano già esplicitate in un brano carico di influenze anni ’80: «Abbiamo voluto mescolare insieme generi musicali e decadi, sia nell’impatto visivo che nella musica», ha dichiarato il frontman Matt Bellamy «Quella canzone è ispirata a un libro di Richard Dawkins che raccontava di quanto le idee fossero contagiose, di come potessero diventare quasi un virus. Se dai un’occhiata ai tg americani, è parecchio assurdo perché ti senti in una bolla trumpiana e cominci a preoccuparti di cose che normalmente non ti impensieriscono e la canzone parla proprio di come le idee degli altri possono sovrastare le tue, se non sei abbastanza attento».

NONOSTANTE una prima parte dell’album raccolga pezzi quasi imprigionati in una sorta di lato oscuro, tra le note di Simulation Theory s’intravedono spiragli di luce: «Drones era un concept album molto pessimista che cercava delle risposte su come combattere e resistere allo strapotere della tecnologia – prosegue sempre Matt – oggi invece il nostro pensiero cerca di abbracciarla, di comprenderla visto che lo sviluppo tecnologico non potrà mai essere arrestato. La sensazione è che oggi si viva in un mondo ’simulato’, che si sia tornati agli anni ’80 quando la fuga dalla realtà era all’ordine del giorno».

PUR NON TRATTANDOSI di un concept album, l’idea che pervade l’intero progetto è arrivata a Matt dopo aver provato per la prima volta un visore per la realtà virtuale: «Non prendevo in mano questi ’aggeggi’ dai tempi dell’adolescenza e la consapevolezza di quanto siano cambiate le cose è stata traumatica. Dopo tre ore passate con il visore, ho pensato a un parallelismo con i social media anche se chi li usa ha un’interazione più positiva con il mondo».

TRA LE NOVITÀ del disco, anche una folta schiera di collaborazioni sorprendenti, come nel caso di Timbaland: «Un produttore lontanissimo da noi ma che ci ha sempre dato l’impressione di lavorare l’elettronica come qualcosa di organico, molto lontano dai suoni senz’anima che ci assillano» sottolinea il batterista Dominic Howard. «Negli anni ’80 – chiosa il bassista Chris Wolstenholme, l’impatto della tecnologia sulla musica fu devastante se pensiamo che persino le band punk abbracciarono tastiere e sintetizzatori. Viviamo in un’epoca dove non ha più senso parlare di generi musicali quindi questo album ci sembra una naturale evoluzione della nostra musica e di questi tempi».