Il Washington Post ha pubblicato la trascrizione della prima telefonata fra Trump e il presidente messicano del 27 gennaio durante la quale Trump ha detto a Pena Nieto: «Se continui a dire che il Messico non pagherà per il muro, allora non voglio incontrarti più», in quanto ne avrebbe perso la sua immagine pubblica.

Non ha pensato che ne avrebbe risentito quando ha definito la Casa bianca «una catapecchia», come ha riportato Golf Magazine o quando – tramite il suo senior advisor, Stephen Miller – se l’è presa con la Statua della Libertà.

Lady Liberty è stata infatti il soggetto di un feroce scambio di battute tra il giornalista della Cnn Jim Acosta e il consigliere della Casa bianca che illustrava la proposta di Trump di introdurre nuovi criteri per gli immigrati.

Secondo il nuovo disegno di legge questi nuovi criteri dovranno basarsi sulla conoscenza dell’inglese, sul possesso di mezzi di sostentamento e sulla professionalità.

Acosta, figlio di immigrati cubani arrivati negli Usa poveri e senza parlare inglese, è intervenuto affermando: «La Statua della Libertà dice:’Datemi i vostri stanchi, i vostri poveri, le vostre masse infreddolite desiderose di respirare libere’. Non dice niente sulla conoscenza della lingua inglese».

Miller ha risposto precisando che la poesia «è stata aggiunta dopo» e «non è effettivamente parte della Statua della Libertà originale». Acosta ha quindi chiesto se, in altri termini, questa amministrazione sta rivedendo il concetto stesso di cosa voglia dire essere immigrati in America.

Ne è nata una discussione in cui Miller ha insultato il giornalista della Cnn in modo talmente aggressivo da essere costretto a scusarsi, mentre Acosta ha accusato l’amministrazione Trump di «tentare di organizzare i flussi in questo paese su base razziale ed etnica».

Questo disegno di legge è un modo per Trump per avere vicina la frangia più destrorsa del suo partito in quanto sa di non poter contare sull’appoggio dei repubblicani moderati. Se questa legge dovesse passare, entro dieci anni dimezzerebbe l’immigrazione legale negli Stati Uniti.

Oltre al concetto di immigrato questa amministrazione sta ridefinendo anche il concetto di minoranza e discriminazione: il New York Times è venuto in possesso di un memo interno al Dipartimento di Giustizia in cui si cercano candidati disponibili a lavorare a un progetto riguardante un’inchiesta per accertare se le università americane discriminino gli studenti bianchi.

Nel memo si parla di accertare l’esistenza di una «discriminazione su base razziale condotta in modo intenzionale nelle procedure di ammissione dei college e delle università», che porta direttamente all’affirmative action, la clausola della discriminazione positiva che consente di dare una spinta a chi parte oggettivamente svantaggiato di modo che a parità di punteggio passi – prima di quello bianco – un candidato nero o ispanico.

Questa inchiesta sarebbe affidata al dipartimento Diritti civili i cui impiegati non sono dei funzionari pubblici ma hanno una nomina politica. Al momento ad occuparsene è il ministro della Giustizia, Jeff Sessions, la cui nomina aveva sollevato non poche polemiche per le sue battute razziste.