Quando, nel 1929, fu pubblicato il volume dedicato alla pittura bizantina sotto l’egida della casa editrice «Valori Plastici», il suo autore, Paolo Muratoff, aveva lasciato il suo Paese d’origine da almeno otto anni. Dietro quel nome italianizzato in modo un po’ ridicolo, come si usava in quegli anni bui, altri non si nascondeva che Pavel Pavlovich Muratov. Il libro della casa editrice di Broglio era il frutto di legami che avevano preso l’avvio sin dal 1923, quando Muratov era arrivato a Roma con la moglie, Ekaterina Urenius, e il figlio Gavriil. Era un momento difficile: Muratov aveva cominciato a frequentare l’Italia dall’inizio del secolo, attratto dall’arte e dai monumenti della Penisola. Dunque, quasi naturalmente, una volta lasciata per sempre la Russia, fece rotta verso l’Italia. Uomo ‘dalle mille vite’, la figura di Muratov colpisce per i suoi interessi, diversificati e non banali, per le sue imprese, per i suoi tanti libri, non solo saggi ma anche romanzi, drammi e traduzioni. È grazie a uno di questi momenti che nacquero le sue Immagini dell’Italia, adesso, e finalmente, edite per la prima volta in italiano, da Adelphi. È il primo volume dei suoi ‘resoconti’, scritto nel 1911. Un secondo sarebbe seguito nel 1912, sino al terzo pubblicato però solo in tedesco. Insomma una storia, anche editorialmente, piuttosto complessa.
Che cos’è, allora, questo libro? Molto più di un diario di viaggio, è accostabile da molti punti di vista a quei testi che, sullo scorcio dell’Ottocento, hanno insegnato a generazioni di giovani a guardare in un modo diverso all’arte figurativa. Le pagine di Muratov, infatti, mescolano sagaci osservazioni personali, di vero e proprio sentimento lirico nei confronti delle vie, dei paesaggi, delle piazze e, certo, ovviamente, anche delle opere d’arte.
Sono, del resto, quegli anni cruciali, verrebbe da dire eroici, in cui la disciplina tutta stava cambiando pelle e avviandosi verso nuovi orizzonti. Mentre Muratov è in Italia, ad abbeverarsi alle fonti della cultura e dell’arte, un giovane intraprendente e a tratti un po’ smargiasso studia all’Università di Torino, sotto la guida di Pietro Toesca. Si sarebbe laureato in quello stesso 1911, a dicembre, due mesi dopo l’uscita della prima edizione russa di Immagini dell’Italia. Era Roberto Longhi. Fa una certa impressione leggere le pagine del libro di Muratov, oggi, e pensare che molto probabilmente a Longhi non fu mai data questa possibilità – non risulta, infatti, che il grande storico dell’arte conoscesse il russo.
Immagini dell’Italia è uno di quei testi che avrebbero potuto catturare le attenzioni del giovane Longhi. Nel 1912, sulla rivista di Giuseppe Prezzolini, «La Voce», questi recensiva l’edizione italiana del Rinascimento di Walter Pater. Proprio Pater è uno dei punti di riferimento di Muratov. Un certo modo di interpretare i fatti artistici e culturali, le grandi epoche della Storia, pongono in un’aria ‘di famiglia’ il libro di Muratov e i saggi di Pater. Ma va detto che il libro dello studioso russo, letto oggi, non ha perso assolutamente nulla dello smalto che doveva avere un secolo fa: in buona sostanza, è assai più godibile di una pagina di Pater. Ecco: stupisce, si diceva, che un libro così bello non sia potuto entrare nel canone di Longhi. Proprio perché l’obiettivo di Muratov non era quello di descrivere i luoghi, le opere, piuttosto di restituire il ‘sentimento’ di quei luoghi e di quelle opere. C’è anche qualcosa di Ruskin ma, anche in questo caso, le pagine di Muratov risultano più seducenti. Forse perché, per tanto tempo, accessibili solo a chi aveva la fortuna di leggere il russo. Ma non è semplicemente un «effetto novità».
Il modo in cui Muratov guarda all’Italia è in sintonia con la critica inglese – il già citato Pater, Vernon Lee. Ma egli declina la scrittura elegante della pagina con un sentimento lirico, con uno sguardo che punta a restituire i tratti salienti di un momento storico. Le sue descrizioni delle opere non sono mai pezzi scollegati di ecfrasi, piuttosto tasselli che compongono un complesso mosaico.
Uno dei tratti salienti del libro è saper accordare lo sguardo alle fonti e al momento storico. Mi spiego meglio. Nel caso di Venezia, e della sua civiltà del Settecento, Muratov ricorre a Casanova e alla sua corrispondenza. Le pagine su Firenze, che si aprono con una stupenda veduta intarsiata coi versi della Commedia di Dante, sono tutte intessute di rimandi alle Vite di Giorgio Vasari. In questo modo il lettore ha immediatamente sott’occhio la precisa ‘temperatura’ del momento storico, può seguire le vicende della Firenze sul 1520 circa attraverso pagine che ‘mandano’ assieme Vasari e la moderna estetica del sentimento.
Con tanti storici dell’arte italiani Muratov sarebbe poi entrato in contatto dopo l’emigrazione, quando si stabilì a Roma e diede inizio a continui cambi di residenza, per stabilirsi infine in via Sistina. La casa in via del Babuino divenne il punto d’incontro di molti tra critici, studiosi, artisti, che si riunivano nel piccolo appartamento ogni martedì. Da Giorgio De Chirico a Vincenzo Cardarelli, da Filippo de Pisis a Ardengo Soffici. Anche un altro emigrato, il pittore armeno Gregorio Sciltian, frequentò quel cenacolo, e proprio lui, nella sua autobiografia Mia avventura, avrebbe rievocato quegli incontri a casa di Muratov.
E poi, certo, una volta stabilitosi a Roma, il russo entrò in rapporto con Longhi. Forse proprio attraverso Sciltian, il cui secentismo ‘magico’ piaceva a Longhi? Si vorrebbe saperne di più. Chissà se due personalità così eccezionali trovarono un’intesa oppure si respinsero come due calamite troppo vicine. Bisognerà far luce su questo incontro, tra un Longhi ormai già provetto connoisseur, lontano dai problemi che lo avevano assillato da giovane, e un Muratov che, da parte sua, aveva cambiato pelle un’altra volta, e si apprestava a pubblicare per la collana di «Valori Plastici» il già ricordato volume sull’arte bizantina. Nel 1925, del resto, aveva già visto la luce il suo volume sulle antiche icone russe, grazie all’intercessione dello slavista Ettore Lo Gatto, suo amico.
Bisognerà aspettare con pazienza l’uscita degli altri due tomi che compongono le Immagini dell’Italia. Questo primo volume, infatti, si conclude con le città toscane (Pisa, Lucca, Pistoia, Prato, Siena…). Mentre nei successivi volumi si tratterà dell’Italia centrale, una larga parte sarà riservata a Roma, e poi ancora il sud, Napoli e la Sicilia. Erano gli ultimi anni prima della catastrofe della Guerra 1914-’18, e leggere oggi queste Immagini dà anche un senso di rapinosa malinconia sul mondo di ieri e dell’altroieri