Considerato a ragione uno dei più importanti scrittori contemporanei e senza dubbio quello giapponese più conosciuto a livello planetario, Haruki Murakami è nel corso di questi ultimi decenni diventato una vera e propria star letteraria. Ogni suo libro è atteso oramai come un evento, che sia un romanzo fluviale come 1Q84, caso letterario nel suo Paese come nel resto del mondo, o i racconti di stampo quasi surreale che l’autore ha continuato a comporre durante tutta la sua carriera. Al contrario di altri suoi colleghi giapponesi del passato come Yukio Mishima o Jun’ichiro Tanizaki, ma anche il suo omonimo contemporaneo Ryu Murakami, che si sono spesse volte cimentati nel cinema come sceneggiatori o anche dietro alla macchina da presa, Murakami non ha mai partecipato attivamente alla realizzazione di un film.

La sua prosa e le sue narrazioni però hanno spesso qualcosa che colpisce ed ammalia il lettore con una sensazione quasi filmica, ma allo stesso tempo sono storie difficili da portare sul grande schermo. Nonostante questo, esistono non pochi adattamenti cinematografici tratti dai suoi lavori, alcun dei quali risalgono alla fine degli anni settanta, quando Murakami emergeva sulla ribalta letteraria dell’arcipelago.

Il primo esperimento che prova a portare su pellicola un racconto dell’autore giapponese risale infatti al 1981, quando Kazuki Omori prova a mettere in immagini il romanzo Ascolta la canzone del vento con cui Murakami debuttò due anni prima, in un lungometraggio prodotto dalla prestigiosa ATG. Nel 1982 e 1983 è la volta di due cortometraggi diretti da Naoto Yamakawa, tratti da Gli assalti alle panetterie e da Vedendo una ragazza perfetta al 100% in una bella mattina di aprile, entrambi lavori sperimentali che cercano di trasferire in immagini le atmosfere del quotidiano metafisico che Murakami instilla sulla pagina scritta.

Un po’ troppo convoluto e logorroico il primo, dove due ragazzi decidono di assaltare una panetteria per fame o per vuoto filosofico e morale, il secondo è decisamente più riuscito. La casualità ed il destino di due persone che si incontrano, lasciano e incontrano di nuovo a distanza di molto tempo è qui resa molto bene, fondendo il pop visivo con la malinconia del presente che scompare. Meno conosciuto è Mori no mukau gawa del 1988, un lungometraggio che si ispira al racconto, anch’esso non troppo popolare, Il suo piccolo cane sottoterra, scritto tre anni prima.

Passati gli anni ottanta e novanta si deve aspettare fino al 2004 per vedere sul grande schermo Tony Takitani, diretto da Jun Ichikawa, e tratto da un racconto di Murakami, storia dell’incontro fra la solitudine di un uomo ed una donna ossessionata dal design e dalla moda. Di quattro anni più tardi è invece il primo adattamento non giapponese: All God’s Children Can Dance è infatti diretto da Robert Logevall, mentre si ritorna agli assalti alla panetteria con The Second Bakery Attack, cortometraggio di Carlos Cuarón del 2010.

Nello stesso anno arriva il pezzo da novanta per così dire: Norwegian Wood di Tran Anh Hung, adattamento cinematografico di uno dei romanzi che più hanno fatto conoscere lo scrittore e traduttore giapponese nel mondo. Ma è negli ultimissimi anni che i film tratti da opere di Murakami sono tornati alla ribalta: l’anno scorso è stata la volta di Hanalei Bay del giapponese Daishi Matsunaga, tratto dall’omonimo racconto, e soprattutto di Burning del coreano Lee Chang-dong, uno dei lungometraggi che più hanno colpito nel 2018.

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