Ibrahim Manneh aveva 24 anni, era nato in Costa d’Avorio, cresciuto in Gambia, arrivato in Italia nel 2010, viveva a Napoli. Ibrahim è morto all’alba del 10 luglio all’ospedale Loreto Mare. Il giorno prima, una domenica mattina, si era sentito male e aveva raggiunto il pronto soccorso del Loreto.

Agli amici ha raccontato di essere stato lì due ore, di aver ricevuto dal personale una siringa e mandato via. Nel pomeriggio, finito l’effetto, si è accasciato a terra a piazza Garibaldi, per tre volte il 118 ha rifiutato di mandare un’ambulanza, un tassista e due volanti non l’hanno aiutato. Un farmacista gli ha venduto 15 euro di medicinali che l’hanno fatto stare peggio. Ormai non si reggeva in piedi, i dolori dall’addome si erano diffusi agli arti. Intorno a mezzanotte gli amici e il fratello lo hanno portano di peso a piazza Nazionale dalla Guardia medica, che ha chiamato di nuovo il 118. Alle 2.30 è stato ricoverato, ancora al Loreto Mare. Alle 11 di mattina di lunedì il personale ha comunicato al fratello, Bakary, che Ibrahim era morto, alle 21.30 la prima succinta spiegazione: una perforazione all’addome non operabile. Martedì Bakary ha potuto vedere il corpo nell’obitorio dell’ospedale, presidiato dalle forze dell’ordine pronte a minacciare la folla di amici accorsa.

«Perché è morto Ibrahim?» si chiedeva la comunità di migranti che in corteo sono andati in prefettura a chiedere verità e giustizia. Bakary ha sporto denuncia, il tribunale ha disposto l’autopsia dieci giorni dopo il decesso, presente anche il perito nominato dalla famiglia. Dalle prime risultanze di parte, Ibrahim sarebbe morto per una perforazione dovuta a ulcera duodenale, il processo infiammatorio andava avanti da ore. Il documento relativo al suo accesso della mattina, sequestrato, sembrerebbe invece riportare un suo allontanamento volontario prima di essere visitato. Altro punto controverso è il suo ultimo ricovero: a sollecitarlo la guardia medica, che chiama il 118 precisando le gravi condizioni del ragazzo. Ma sembrerebbe che il personale del Loreto Mare lo abbia classificato codice giallo, lasciandolo in attesa ancora per ore.

Ibrahim frequentava lo sportello legale del centro sociale Ex Opg Je so’ pazzo, che seguiva la sua pratica per ottenere il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Ci andava anche nel tempo libero perché parlava cinque lingue e dava una mano con i ragazzi appena arrivati nei Cas. Giovedì all’Ex Opg ci sarà una serata in suo onore con il concerto dei ’E Zezi ed Epo, il ricavato servirà a sostenere le spese processuali e il rimpatrio della salma in Gambia: «Ci vogliono 4mila euro solo per riportare il corpo alla famiglia, mille euro per il perito più le altre spese processuali – spiegano gli attivisti -. Sono costi insostenibili per la comunità di amici e parenti. È per questo che molti rinunciano a chiedere giustizia». Sul sito del centro occupato (jesopazzo.org) è possibile sottoscrivere la petizione, primi firmatari WuMing, Ascanio Celestini, Mauro Biani, Vauro, Zerocalcare.