Si chiamava Mauro Buratti, aveva 61 anni ed era carrozziere a Curtatone, vicino Mantova. È morto all’ospedale di Verona. La storia tragica di Buratti è una nuova puntata del sotto-genere di cronaca dei No Vax che muoiono di Covid, casi esemplari da raccontare per fugare i dubbi residui sulla necessità dei vaccini.

«Mauro da Mantova» era uno dei personaggi del carrozzone radiofonico de La Zanzara, lo show radiofonico serale di Radio 24. Da anni, con la scusa di voler di mettere in scena quello che definisce il «paese reale», il conduttore Giuseppe Cruciani ne propone le voci più reazionarie. Con la scusa del politicamente scorretto ripropone tutti i leitmotiv del senso comune conservatore. Ha raccontato le campagne razziste contro i rom, ha sollevato «emergenze sicurezza» e sostenuto la necessità che la gente si difendesse da sola. Ha dato spazio a islamofobi e teorici della sostituzione etnica. Quando tutto ciò è entrato a pieno titolo nel mainstream, riempiendo i palinsesti tv e conducendo Salvini al Viminale, Cruciani ha capito che doveva ampliare il raggio d’azione: ha cominciato a parlare di feci e sesso promiscuo, spacciando schemi libertini per modelli libertari, vendendo l’immaginario maschile del porno come erotismo dettato da libera scelta.

Poteva, Cruciani, perdersi i No Vax? Ecco allora la parabola di «Mauro da Mantova», al quale hanno regalato il sogno della celebrità fuggente che è tipica dei comprimari che vengono messi in mezzo loro malgrado. «Volevi essere Re, l’interventista radiofonico per eccellenza, eri felice quando qualcuno ti riconosceva per strada e ti chiedeva un selfie. Eri, sei, Mauro da Mantova», ha scritto Cruciani su Instagram.

Tutto ciò non è più esclusiva dei campioni del cattivo gusto. Ha contagiato la gran parte degli spazi tv che parlano di Covid. Si invita un «Mauro da Mantova» a caso, che si tratti dell’autonominato leader di qualche sigla squinternata o di un intellettuale che abbraccia la lotta ai vaccini, e lo si getta nell’arena di fronte all’esperto di turno. Così si riduce il dibattito sulla pandemia a un derby tra Vax e No Vax che non si interroga (ad esempio) sulle sorti della sanità pubblica o sul modello di sviluppo che ha generato la pandemia.

Se ne è accorto qualche giorno fa, ad esempio, il filosofo Maurizio Ferraris, non a caso studioso del concetto di «post-verità». Quando, davanti alle telecamere di Omnibus su La7, gli è stato chiesto di confutare le congetture di Agamben Ferraris ha scardinato il format, sostenendo che inscenare una rissa e discutere tesi prive di senso serviva (forse) ad aumentare l’audience ma non a divulgare la conoscenza.