Il capitano Giuseppe La Rosa, 31 anni, appartenente al terzo reggimento bersaglieri della Brigata Aosta, è morto ieri in Afghanistan. Il veicolo Lince su cui viaggiava è stato colpito da una granata che ha provocato il ferimento di altri tre soldati italiani. L’attacco è avvenuto ieri mattina alle 10.30 locali nella provincia di Farah, nel sud-ovest dell’Afghanistan. Sul sito dell’Emirato islamico d’Afghanistan gli studenti coranici sostengono che – secondo «i resoconti che arrivano da Farah» -, a lanciare una granata all’interno del Lince sarebbe stato un ragazzino di 11 anni, che con un atto «coraggioso ed eroico» avrebbe dimostrato «l’assoluto odio degli afghani verso gli invasori infedeli che occupano il nostro paese da un decennio».

[do action=”quote” autore=”Il portavoce del governatore di Farah, Abdul Rahman Zhwandaj”]«Non si è trattato di un bambino, ma di uomini in moto, più uomini su almeno due moto»[/do]

Il portavoce del governatore di Farah, Abdul Rahman Zhwandaj, raggiunto al telefono, smentisce: «Non si è trattato di un bambino, ma di uomini in moto, più uomini su almeno due moto». Lo Stato maggiore della Difesa spiega che il Lince faceva parte di un convoglio di tre mezzi che «stava rientrando nella base di Farah, dopo aver svolto attività in sostegno alle unità dell’esercito afghano».

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha manifestato in una nota «i suoi sentimenti di solidale partecipazione al dolore dei familiari del caduto, rendendosi interprete del profondo cordoglio del Paese». Anche il presidente del Senato ha espresso il proprio cordoglio alle famiglie del soldato ucciso e dei feriti, uno dei quali è stato sottoposto a intervento chirurgico nell’ospedale della base militare di Farah. Per Pietro Grasso, la morte del capitano Giuseppe La Rosa rappresenta «un pesante tributo nel costruire la stabilizzazione di quell’area». Parole simili a quelle del ministro degli Esteri Emma Bonino, mentre il vice-presidente del Senato, Maurizio Gasparri, non ha perso l’occasione per sfoggiare un po’ di vecchio orientalismo razzista: «La morte del capitano La Rosa – ha detto – ci lascia scossi e fa riflettere. Dobbiamo interrogarci sulla possibilità che in luoghi come l’Afghanistan pace e democrazia riescano ad affermarsi». Nessun dubbio, ovviamente, sulla legittimità di esportare la democrazia sulla punta delle baionette.

Sul versante opposto dello spettro politico, la reazione di Nichi Vendola, che dopo l’interrogazione parlamentare presentata da Sel il 29 maggio per un ritiro accelerato, continua «a porre la domanda sul senso di questo missione» e a sostenere che «i nostri soldati devono tornare». Più nette, le parole di Antonio Di Pietro e di Alessandro Di Battista, parlamentare del M5S e vicepresidente della commissione Affari esteri della Camera. Entrambi hanno criticato le «lacrime di coccodrillo dei politici»: per Di Pietro «la cosiddetta missione di pace» per l’Italia non è neanche un’opportunità politica, soltanto un sacrificio di risorse umane, economiche e logistiche». Per Di Battista, che ha chiesto che «i nostri militari tornino immediatamente a casa», è ora di conoscere «la strategia d’uscita dell’Italia».

Chiedere al ministro della Difesa, Mario Mauro, quali siano i dettagli per il ritiro dei circa 3.000 soldati italiani impegnati in Afghanistan è fondamentale. Come lo è interrogarsi sul senso della missione Isaf della Nato, che si concluderà alla fine del 2014, e sulla legittimità della partecipazione italiana a una guerra ormai persa sul terreno e sul piano simbolico.

Però non basta. Perché il governo italiano ha già fatto un passo ulteriore, dando la propria disponibilità ad assumersi la responsabilità dell’area occidentale del paese nell’ambito di Resolute Support, la nuova missione della Nato che prevede di «addestrare, consigliare e sostenere» le forze di sicurezza afghane e che inizierà a gennaio 2015. La decisione dell’Italia è passata sotto silenzio, enfatizzata soltanto dal segretario alla Difesa americano, Chuck Hagel, che al termine del vertice della Nato di Bruxelles del 5 e 6 giugno ha ringraziato Roma per l’impegno assunto. Al ministro della Difesa andrebbe chiesto di spiegare non solo secondo quale agenda intende riportare a casa i soldati ora impegnati nella missione Isaf. Ma anche come l’Italia intende partecipare alla missione Resolute Support: quanti soldati italiani verranno dispiegati in Afghanistan, con quali compiti, con quali costi e per quanto tempo. Anche perché in Afghanistan le decisioni politiche si pagano sul campo.

Anche la morte del capitano La Rosa forse è legata alla decisione presa a Bruxelles: quando il 18 aprile il ministro della Difesa tedesco aveva annunciato che dopo il 2014 la Germania avrebbe comunque mantenuto in Afghanistan tra i 600 e gli 800 soldati, i Talebani gli avevano risposto così: «Colpiremo con operazioni speciali per costringere la Germania a ripensare alla sua decisione irrazionale». Giuseppe La Rosa è morto l’8 giugno, 3 giorni dopo che Chuck Hagel ha ringraziato l’Italia per l’impegno assunto come leading-nation nella nuova missione Nato. Forse una coincidenza. Forse una replica dei Talebani, con i loro mezzi, alla decisione di cui Mario Mauro deve ancora dare conto in parlamento.