Fuggivano, cercando la sopravvivenza, dagli scontri scoppiati a Malakal, centro amministrativo e città di transito verso lo stato dell’Upper Nile – a 330 miglia dalla capitale – i circa 200 civili del Sud Sudan a bordo di un traghetto capovoltosi ieri nelle acque del Nilo. La cifra è destinata ad aumentare stando alle dichiarazioni del portavoce dell’esercito Philip Aguer: «I rapporti che abbiamo ci informano di circa 200-300 persone, tra cui donne e bambini che stavano fuggendo dai combattimenti nuovamente scoppiati a Malakal. Sono tutti annegati». Il direttore generale per la gestione delle catastrofi presso il ministero degli Affari Umanitari, Banak Joshua, ha rifiutato di fornire cifre, limitandosi a confermare che il barcone era sovraccarico e che le vittime sarebbero in maggioranza bambini.
Sono migliaia i civili che cercano di attraversare il fiume arrivando a indebitarsi per assicurarsi un posto su barche di fortuna al costo di più di 60 dollari. Mentre si stima che circa 9.000 civili siano arrivati da poco in una base delle Nazioni Unite a Malakal quasi raddoppiando il numero di persone in cerca di rifugio lì. Tra comunicazioni interrotte o inesistenti si cerca di fare la conta dei naufraghi e dei morti, mentre i leader responsabili di questa ennesima catastrofe umana, Riek Machar e Salva Kiir, continuano a battibbeccare contendendosi in queste ore rispettivamente la presa e il controllo di Malakal, città sulle rive del Nilo Bianco – appena a nord della confluenza con il fiume Sobat e gateway verso i giacimenti petroliferi della regione dell’Alto Nilo che continua a vedersi bottino di guerra un giorno delle forze ribelli di Machar e l’altro ancora dei governativi del Presidente Salva Kiir.
Secondo fonti Onu, sarebbero circa mille i morti e almeno 350mila gli sfollati da quando il conflitto è esploso a metà dicembre scorso tra i ribelli fedeli all’ex vice presidente Riek Machar e le forze militari del Presidente Kiir. Del più grande gruppo etnico sud sudanese – i Dinka – questi e appartenente ai Nuer l’altro. Un conflitto alimentato da vecchi attriti politici e sconfinato nella babele degli odi interetnici, tra esecuzioni di massa, fosse comuni, stupri e violenze che non conoscono differenza di genere e di età. Un conflitto che sta sventrando il più giovane stato dello scacchiere mondiale, nato nel 2011 dalla secessione del Sudan e in balia dell’incapacità dei partner occidentali, più di tutti gli Stati Uniti di cui ne è la giovane creatura. Un paese di morti che camminano, mentre in Etiopia continuano ad arenarsi i colloqui di pace sotto l’egida del blocco regionale dell’Africa orientale – l’Intergovernmental Authority on Development (Igad) – al momento in stallo sulle richieste di liberazione avanzate da Riek Machar per la liberazione di 11 dei suoi alleati politici incarcerati dopo essere stati accusati di aver tentato un colpo di stato. Richieste che Salva Kiir continua a respingere.